Più desideri e meno paure come mattoni delle nostre città
Domande e risposte. Che si pensi a una città, o alla vita, è uno dei momenti in cui rileggere Le città invisibili di Italo Calvino, ora che la vita quotidiana nelle città di tutto il mondo rischia di diventare davvero invisibile, forse perché non abbiamo saputo porci al momento giusto le domande giuste. Per non parlare poi delle risposte. Eppure “d’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda”. Mai come adesso si tratta di una domanda condivisa.
Memo pubblica un breve passaggio del romanzo di Calvino (edizione Einaudi 1972).
“Kublai Kan s’era accorto che le città di Marco Polo s’assomigliavano, come se il passaggio dall’una all’altra non implicasse un viaggio ma uno scambio d’elementi. Adesso, da ogni città che Marco gli descriveva, la mente del Gran Kan partiva per suo conto, e smontata la città pezzo per pezzo, la ricostruiva in un altro modo, sostituendo ingredienti, spostandoli, invertendoli.
Marco intanto continuava a riferire del suo viaggio, ma l’imperatore non lo stava più a sentire, lo interrompeva:
– D’ora in avanti sarò io a descrivere le città e tu verificherai se esistono e se sono come io le ho pensate. Comincerò a chiederti d’una città a scale, esposta a scirocco, su un golfo a mezza luna. Ora dirò qualcuna delle meraviglie che contiene: una vasca di vetro alta come un duomo per seguire il nuoto e il volo dei pesci–rondine e trarne auspici; una palma che con le foglie al vento suona l’arpa; una piazza con intorno una tavola di marmo a ferro di cavallo, con la tovaglia pure in marmo, imbandita con cibi e bevande tutti in marmo.
– Sire, eri distratto. Di questa città appunto ti stavo raccontando quando m’hai interrotto.
– La conosci? Dov’è? Qual è il suo nome?
– Non ha nome né luogo. Ti ripeto la ragione per cui la descrivevo: dal numero delle città immaginabili occorre escludere quelle i cui elementi si sommano senza un filo che li connetta, senza una regola interna, una prospettiva, un discorso. È delle città come dei sogni: tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra.
– Io non ho desideri né paure, – dichiarò il Kan, – e i miei sogni sono composti o dalla mente o dal caso.
– Anche le città credono di essere opera della mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura. D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.
– O la domanda che ti pone obbligandoti a rispondere, come Tebe per bocca della Sfinge.”