Latina, forever young

Latina

Alle porte del primo Festival dell’Architettura del Novecento nella città pontina, una conversazione con Massimo Rosolini, Presidente Ordine APPC di Latina, e Pietro Cefaly, Direttore Casa dell’Architettura di Latina, per aprire il dibattito culturale.

Dal Logo di Capitale della Cultura fino a essere uno dei tre asset di sviluppo nella visione del dossier di candidatura, l’Architettura a Latina e di Latina, la forma della città, citando Pier Paolo Pasolini, è stata vista come un punto di forza e una opportunità per la città pontina, tanto da proporla come modello negli obiettivi strategici, perché Latina, con la sua architettura razionalista (sul nome c’è ancora da lavorare) costituisce un’identità intrinseca, inscindibile, testimonia il classicismo, la modernità e l’unicità del Novecento Italiano di una città territorio.
Per capirne di più incontriamo l’architetto Massimo Rosolini, Presidente dell’Ordine degli Architetti di Latina, sottile e cauto conoscitore del territorio, e l’architetto Pietro Cefaly, Direttore della Casa dell’Architettura di Latina, custode della storia vera, quella dei documenti, prima che diventino monumenti, dell’architettura della città.

Che storia è quella dell’architettura di Latina. Presidente Rosolini?
È una storia complessa, seppur breve, la rappresentazione di una sorta di discrasia, di mancanza di coordinamento tra spazio e tempo, come è tipico di una città fondata e costruita in un sol colpo e che ha continuato a crescere in un tempo radicalmente diverso.
Latina si è evoluta dalla sua fondazione, sottolineando sempre che esiste una dimensione di evento storico per la città, ma che si è fermato lì. Originariamente borgo rurale, che poi si esalta, cambia significato, diventa città, poi capoluogo di provincia, insomma diversi assetti amministrativi in tempi ristrettissimi e calati dall’alto che non hanno fatto crescere la cives, non hanno sviluppato nel tempo lo stile della forma della città. Nella forma urbana si vedono, oggi, almeno due città, la Latina-Littoria di Oriolo Frezzotti (1888 – 1965) e quella, tutta diversa, di Luigi Piccinato (1899-1983): in mezzo e dopo c’è una Latina che invade il territorio, si sparge nell’Agro sui resti dell’appoderamento spezzettato dalle norme del dopoguerra.

Si è sempre solo data importanza all’evento fondazione e basta, non si parla mai del dopo, ma che stile è quello dell’architettura originaria di Latina?
Littoria città razionalista non è esatto, va corretto l’aggettivo: il linguaggio degli edifici e il progetto urbano sono altra cosa (a parte il quartiere Nicolosi). Il piano urbano risente di una cultura anche premoderna, ma l’architettura, soprattutto, dovremmo identificarla con “Architettura del 900 italiano” che nasce nella pittura e crea una sorta di classicismo modernizzato per quell’esigenza di semplificazione che attraversa tutta Europa, ma che da noi non è possibile fino in fondo perché fare tabula rasa del passato in Italia è impensabile. Lo stile, dunque, è un mix di desiderio di geometrizzare e una tradizione, troppo importante, che non si vuole cancellare. Un po’ il classicismo Piacentiniano e un po’ una sorta di Art Decò più austero e “marziale”.

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Cosa ne pensa, Direttore Cefaly, è d’accordo? Latina Archivio del Novecento italiano?
Certamente. Soprattutto perché di fatto Latina (la sua storia e il suo carattere) rappresenta l’intreccio dei molti aspetti – non sempre tutti positivi- che hanno conformato il Novecento. Solo un’accurata opera di raccolta e catalogazione dei documenti può dipanare una questione complessa, troppo spesso resa, invece, banale da un atteggiamento nostalgico che ne impedisce una visione progressiva. Questo vale per ogni contesto urbano; ma a Latina diventa questione ineludibile perché solo la comparazione dei vari archivi consente, per esempio, di capire come mai una città nata per “rappresentare” – anche in senso fisico – l’ideologia antiurbana del fascismo, fin dai primi mesi ha avuto un seguito palesemente diverso. Come mai una città costruita in tutta fretta è stata oggetto di decine di progetti non realizzati? Rispondere a questo interrogativo (e questo è possibile solo attraverso un’accurata raccolta e conservazione dei vari archivi) significa guardare Latina oltre quei sette edifici realizzati nel 1932 e che oggi si offrono ai nostri occhi come relitti straniati dal loro contesto originario, confusi nell’edilizia della città contemporanea.
Bisogna capire perché.
Questo desiderio di “progettare” a Latina è carattere: con riferimento alle specializzazioni territoriali, sia nel 2019 che nel 2020, Latina risulta la provincia più specializzata della media nazionale nel settore Architettura e design, in particolare nelle attività degli studi di architettura. Facendo ricorso ai dati Istat, a Latina, le imprese che operano in settori culturali e creativi core nel 2020 sono 1.700, gli addetti sono 3.000, ovvero lo 0,5% della filiera core nazionale.

“Insomma, numeri interessanti legati all’attività creativa, Presidente Rosolini. Con questi numeri quale cultura architettonica si respira?”
Facciamo un piccolo passo indietro. Dopo la guerra (l’ultima ovviamente) si avvia per Latina (cambia anche il nome della città) una stagione tutta diversa dal punto di vista architettonico, è un cambiare pagina ideologico culturale, con un cambio di materiali per esempio, nasce la speculazione edilizia; una stagione di rinneghi, di demolizioni di quelle costruzioni chiamate “architettura fascista”: vedi ad esempio la storia della “casa del contadino”, oggi grattacielo Pennacchi, nell’idea che quanto costruito nella fondazione della città era brutto oltre che politicamente imbarazzante.
Verso la fine degli anni ’60 abbiamo un momento di riflessione nella definizione di una nuova forma della città con il Piano Piccinato che rispetto al nucleo della città fondata indirizza lo sviluppo verso Sud, verso il mare. Fino agli anni ’80, quando poi si avviò un’autocoscienza della città, si aspirava a non avere continuità con la città di fondazione.
Si può prendere la demolizione della casa del contadino nel 1963 o la mutilazione del palazzo delle Poste di Angiolo Mazzoni come simboli della cancellazione della memoria, che cambia la figura di città.
Ma è nel cinquantesimo della fondazione che comincia a cambiare davvero qualcosa: sono gli anni Ottanta quando il sindaco Corona adotta il PP per il centro direzionale, nel dettaglio un concorso vinto da un gruppo diretto da Dall’Olio che propone demolizioni e profonde modifiche al volto della città, che però nell’opinione corrente si iniziava a considerare storica. È un piano che sfascia la città, ma la città stessa, gli abitanti, ostacolano questo progetto “No allo sfascio di Littoria” direbbe lo slogan trasversale di quei giorni, in una sorta di primo vagito identitario. Il sindaco ritira il piano adottato e gli abitanti si accorgono di Latina.
Poi, decenni di riflessioni, e anche di retorica, intorno a una città che è anche un tema storico e culturale ancora vivo.
Oggi le nuove generazioni non hanno preso – mi sembra – il passaggio delle consegne, è mancata la motivazione o noi non siamo stati bravi a coinvolgerli? È il segno dei tempi o il difetto di una comunità che fatica a crescere come tale? Stando ai dati però è rimasto, forse, l’anelito diffuso a progettare, il desiderio di creare come spirito del luogo.

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Gli anni Ottanta sono un momento interessante per la cultura architettonica della città, è del 1984 per esempio il primo libro sull’architettura di Latina ed è un lavoro di ricerca proprio suo, Direttore Cefaly, lei ha dedicato 50 anni di studi a questa città e sono 26 anni di Casa dell’architettura…
Il 900 è davvero una questione complessa, e Latina ne è la prova evidente. Diventa perciò ineludibile uno studio rigoroso e sistematico delle fonti, ovvero degli archivi di quelle figure professionali che, a vario titolo, hanno contribuito alla “costruzione” della città che ora si presenta ai nostri occhi. Per farlo c’è bisogno (oltre la buona volontà) di spazi adeguati. Ma, ahimè, la “ricerca paziente” spesso non paga.
Vede, molti chiacchierano su Latina, spesso a sproposito, alimentando la confusione e l’incertezza: pochi sono coloro che conoscono la città attraverso i documenti conservati presso la Casa dell’Architettura e non solo. Io, che la studio da oltre cinquant’anni, non avrei potuto produrre degli avanzamenti sul piano della conoscenza senza i materiali d’archivio. Per esempio, prima delle mie ricerche, tutti guardavano Latina come una “città d’autore” – Oriolo Frezzotti nel caso specifico – e, pertanto, ogni edificio veniva attribuito a lui: “casa del contadino”, come la Banca d’Italia (opera dell’architetto Vincenzo Munari) o la sede della Confederazione degli Agricoltori (architetto Vittorio Ballio Morpurgo) e potrei continuare. Adesso, invece – grazie alla preziosa attività di ricerca della Casa dell’Architettura – tutti sanno che il progettista della Casa del Contadino (uno dei migliori edifici della città di fondazione, ottusamente demolito nel 1961) è opera di Florestano Di Fausto. Durante una ricerca presso l’Archivio di Stato di Latina, ho trovato il disegno dello schema fognario di quell’edificio tracciato con una biro rossa su una planimetria con la firma di Florestano di Fausto, il progettista di Predappio e di molte architetture di quegli stessi anni nel Peloponneso. Viene fuori allora una più attendibile Latina “città a più mani”, come lo sono tutte le città nel loro “farsi e disfarsi” nel tempo. Gli archivi diventano strumenti utili per fare ordine e dare filo logico e storico, giustizia, alla cultura architettonica di questa città.

Il modello architettonico, urbanistico e artistico di Latina, nel dossier di candidatura, prevedeva lo sviluppo e l’attuazione di progetti che pianifichino processi ed eventi propriamente artistici: mostre, cinema, performance e opere site specific, progetti che candidano il territorio quale fonte d’ispirazione, sia come luogo reale che come spazio dell’immaginario; avviare a ristrutturare e rigenerare i luoghi della cultura, in particolare musei e teatri, attirando stakeholder e investitori; attrarre artisti e imprese creative per incoraggiare processi di scambio e di condivisione, ripensare il modello di città originario e mettere mano alle infrastrutture con particolare attenzione alla mobilità dolce e sostenibile; il Festival dell’Architettura del 900, costruito nelle sue linee programmatiche, è uno degli strumenti attuativi individuati per sottolineare il ruolo di una città Archivio del Novecento. Che ne pensa, Direttore Cefaly?
Che dovremmo saper coinvolgere tutti nel raccontare la storia, seppur breve, di questa città, nelle sue discrasie, aprire questa città archivio per fare entrare menti nuove e giovani con occhi nuovi lontano da passerelle conquistatrici e autoreferenzialità sterile. Lei si immagini che negli anni ’70 la vegetazione spontanea era dappertutto a Latina, cipressi come se fossimo a Villa Adriana, mentre la città cresceva “incolta” e inconsapevole, nessuno faceva i conti col passato e non si superava il tranello di accettare che fosse razionalista, progressista, in realtà Latina è unica nella sua complessità, bisogna studiarne le dinamiche.
In Piazza del Popolo uno di quei sette edifici realizzati era la caserma della milizia, ma nel 1935 Frezzotti ne progetta una più grande: quale necessità c’era se non quella di una crisi di rappresentatività del Fascismo rispetto ai “valori oggettivi” dello stato espressi, invece, nei nuovi edifici (Tribunale, Prefettura o Finanza) per il capoluogo di Provincia. Latina, originariamente borgo rurale, appare allora un fenomeno complesso, una storia che deve essere compresa anche dalle persone non addette, da tutti.
Oggi, il 900 ci consegna una città confusa, abbandonata, lasciando così spazio a operazioni casuali. Quella successiva a Latina è solo edilizia. Chiacchiere da bar….

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Che non siano anche queste nostre “Parole nel vuoto”…
“Avviare oggi un dibattito culturale serio che coinvolga in pieno gli archivi, i documenti, i fatti, le persone è ormai necessario” – interviene Rosolini – “Per cominciare a maturare, avere storia, oltre la Fondazione di Latina” – ribatte Cefaly. – Cominciare ad avere una città ormai matura.

Viene in mente quella canzone anni ’80 degli Alphaville “Forever young” : Youth’s like diamonds in the sun, And diamonds are forever (La gioventù è come i diamanti al sole, E i diamanti sono per sempre), Latina dunque un diamante? E per sempre giovane?
Un diamante sicuramente grezzo e sfaccettato, forse ancora tutto da scoprire.
Ci auguriamo si vada oltre i tappeti rossi e le chiacchiere da bar e si apra un dibattito culturale degno di questa città.