La storia è femmina
Perché la storia dei maschi
è una brutta storia

Oggi la mia piccola città ha deciso di premiare Katia. Il “Premio Donna Città di Sarzana” è stato consegnato a Zenech Marani (è lei Katia) che da ragazza è stata staffetta partigiana e oggi è testimone attiva della lotta contro il fascismo e ogni forma di estremismo e totalitarismo. Si racconta ancora di lei quando a 14 anni entrò a lavorare nella Ceramica Vaccari di Ponzano Magra, era una delle fabbriche più grandi d’Europa, e di quando Mussolini visitò la fabbrica ma lei si rifiutò di partecipare all’acclamazione pubblica organizzata per il ricevimento.
Non la conosco personalmente. Conosco bene Michela sua nipote con cui scambio chiacchere e caffè quando ci vediamo in ufficio. E lei me ne parla spesso, con orgoglio, ammirazione, determinazione.
Ne parlo anch’io oggi perché l’otto marzo è una festa ogni anno sempre più dolorosa, sempre più triste La retorica della mimosa ci costringe per l’ennesima volta a ricordare a noi stessi che la strada da fare per l’emancipazione femminile, il rispetto e la parità di diritti, soprattutto sul lavoro, è ancora lunga. Troppo lunga.
Noi maschietti oggi siamo tutti orgogliosi di regalare mimose e fare gli auguri. Eppure siamo sempre noi che le donne le uccidiamo, le violentiamo, le sfruttiamo, le esibiamo, le discriminiamo, le umiliamo, le compriamo oppure semplicemente le spogliamo per vendere meglio un prodotto qualsiasi in uno spot televisivo o fare la copertina di un qualsiasi giornale.
Ho scritto di getto su un foglio di carta che “la storia è femmina” perché dovrebbero essere loro le protagoniste future della nostra storia. E lo dovrebbero essere per un unico motivo; noi maschi abbiamo fragorosamente fallito. Affidiamoci alle donne quindi, non faranno mai quello che abbiamo fatto noi.
La storia è femmina. La nostra invece spesso è solo una brutta storia.
E Katia questo lo sa. Molto meglio di noi.