Vi raccontiamo i muri in transito

Vi raccontiamo i muri in transito

Perché si scrive su un muro? Per lasciare segni e lanciare sogni, scrive con mirabile sintesi Jo Lattari. Oppure, sottolinea Marco Mottolese: “Le scritte sui muri sono “inciampi visivi” che deviano a forza il corso dei pensieri. “Muri in transito” è un breve trattato sulle scritte murarie (edito da Luigi Pellegrino Editore) che racconta un fenomeno che spinge ad utilizzare il muro come lavagna, tazebao, specchio appannato, spinta che accomuna ciascuno di questi generi in un’unica volontà: quella di affermare la propria esistenza. Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo la nota introduttiva di Enrico Ghezzi.

Ti amo Costanza, (ma) senza speranza
di Enrico Ghezzi
Nell’ultima notte di Babilonia, al grande tavolo di Nabuccodonosor e del figlio Baldassarre, tra fiammate orgiastiche e eccessi sacrileghi, si verifica un evento allarmante. Una mano appare e scrive sul muro segni che nessuno riesce a leggere: ‘mane techel phares’. Tratto dal carcere e portato davanti al muro, è il profeta Daniele a riconoscere quei segni e a decriptare le tre parole indicandone il senso catastrofico (la misura è colma, il tiranno verrà ucciso la notte stessa e il regno sarà spartito tra i nemici). La torre di Babele/Babilonia, contigua nel libro della Genesi con il capitolo di Noè, è l’esito suggestivo e diversamente catastrofico di un altro confronto tra la cifra della lingua e quella del potere. Babilonia si segnala il set più hard e nitido nella storia della comunicazione (ovvero del mondo in quanto riconosciuto). L’enigma presto risolto e dissipato, e la lingua unica che – punita per la sua sicurezza e per la tracotanza espansionistica – si frantuma nei rivoli delle diverse lingue (richiedendo poi uno sforzo di trasmissione traduzione ricomposizione. Tutte figure della comunicazione che coincide in gran parte con la storia del mondo stesso).
Confesso (chiedendo scusa – per l’apparente siderale distanza – ai due autori e ai lettori) che sono le prime idee forme immagini a venirmi in mente. Né sembro cambiare registro se dico che 2001 Odissea nello Spazio presenta nel proiettarsi sulla superficie liscia del monolite nero una percezione intensamente ambigua sul ruolo della scrittura (sulla losanga nera rettangolare dello schermo una scritta bianca basta a far passare millenni e a scivolare verso mete interstellari e ultrainfinite, e il film tutto appare didascalia sublime dell’infinito, lasciandoci per svariati minuti a luci spente di fronte al muro nero dello schermo).
Ancora una volta si mostra la catastrofe come già avvenuta, il visibile quale replica inevitabile dei resti di essa, con l’archeologia unica scienza possibile; e il museo vivente in cui tutti vengono educati e preparati a morire, anzi a non-morire. L’intero mondo, riconosciuto quale macchina residuale, va e viene, trascorrendo indifferentemente nei due sensi e negli sguardi opposti del desiderio (dal museo verso l’esterno/dall’esterno verso il museo).
Questo traspare ovunque, anche a Cosenza. E vien da ammirare la leggerezza con cui Jo Lattari e Marco Mottolese hanno commentato le scritte sui muri fotografate. L’impegno di non volare, di non tradire con l’interpretazione, di smorzare, si impenna ogni tanto incrociandosi e ingolfandosi volutamente (lo stesso faccio io in questo preciso momento del 22 settembre 2015, mentre scrivo ascoltando in sottofondo tv la notizia del signor X che gira di notte in bicicletta testando l’asfalto e il selciato della sua città Alessandria, scrivendo per terra con la bomboletta grossi avvisi in rosso o in bianco sulla presenza di buchi pericolosi del manto stradale).
Del resto, non pare sia possibile molto altro che accettare l’anonimato che dai muri promana o che il muro sembra aver quasi inghiottito. Le scritte murali non dovrebbero arrestarsi mai, né possiamo non dire quanto a volte un monumento non disdegni d’esser solleticato da pennelli o matite o schizzi gassati, o non apprezzare come una scritta possa far rivivere un luogo stravisto e non più visto/letto da molti anni, o non perdere tempo a sciogliere coacervi di strati e forme prodotti e rigenerati da mani diverse e lontane.
A volte, specie nella notte di luna piena, si possono avvertire rumori di raschiature e fruscii di scrivani, appoggiati a muri che son diventati lavagne della città o del mondo, invisibili e fieri di non esser visti, sovrimpressi dentro il loro stesso disegno o invettiva o gioco di parole o citazione poetica (e penso al bellissimo Passe Muraille di Aymé, bizzarro antisupereroe capace di attraversare i muri e infine bloccato dal muro che non lo accoglie più o lo accoglie troppo definitivamente, ghermendolo e trattenendole in sé per sempre).
E non posso non tramandare la leggenda confermatissima dai miei pur miopissimi occhi.
Ti Amo Costanza ma Senza Speranza: la scritta (incerto nel ricordo non filmato se ci fosse il Ma o no) restò per anni, attraverso diversi sindaci del periodo rutelveltroniani, su un grande ponte all’uscita di Roma verso la flaminia; più volte tentarono di cancellarla, per anni essa ritornava identica dopo ogni spugnatura. Infine, sparì da sola, credo per consunzione. Di certo, a meno che gli editor e gli editori del Mondo non vogliano imbavagliare i muri e minare i palazzi segnalati come non (a)scrivibili, la bibbia che viviamo ci ricorda (ma mentre trascriviamo le parole il mondo ricomincia a disfarsi, anzi si disfa, ecco la mano – mane thecel phares).

Fotografie di Francesco Cangemi

Vi raccontiamo i muri in transito

Jo Lattari e Marco Mottolese
Muri in transito
Luigi Pellegrini editore
14,00 Euro