Diego De Silva: non solo Malinconico
Diego De Silva torna in libreria con il nuovo romanzo I titoli di coda di una vita insieme (Einaudi, 2024). Una vera benedizione per gli aficionados dello scrittore. Sono passati due anni dalla sua ultima pubblicazione letteraria che vede spiccare la figura dell’avvocato Vincenzo Malinconico, le cui vicende tragicomiche sono raccontate in Sono felice, dove ho sbagliato? (Einaudi, 2022) e ben diciassette da quando, con Non avevo capito niente (Einaudi, 2007), lo scrittore napoletano ce l’ha presentato per la prima volta. Durante questi anni, leggendo le avventure dell’“avvocato di insuccesso” prediletto dalla letteratura contemporanea (sei romanzi editi da cui è stata tratta anche una serie televisiva), abbiamo imparato a conoscere Vincenzo Malinconico come un amico, ci siamo divertiti e abbiamo riso, talvolta in modo incontenibile.
A chi non è successo, infatti, di leggere le sue vicissitudini, magari su un mezzo di trasporto pubblico o in una sala d’aspetto affollata di gente, e di scoppiare a ridere a crepapelle, attirando su di sé gli sguardi dei presenti? Oppure, chi non si è ritrovato a ridere da solo sprofondato sul divano o in poltrona? È l’effetto Malinconico, che sembra una contraddizione, e proprio su questo si basa la ricetta del successo del personaggio tanto amato e frutto della penna di Diego De Silva.
Abbiamo fatto scorta di situazioni stravaganti e talvolta estremamente reali, e abbiamo apprezzato una ironia brillante e irriverente. Siamo stati nei corridoi e nelle aule di tribunale, un po’ per passare il tempo e un po’ per lavorare, nel fast food di un aeroporto a mangiare cibo spazzatura di nascosto dai parenti salutisti, in un supermercato durante una rapina sui generis; siamo stati in un teatro, adibito a centro d’ascolto, a raccogliere le testimonianze di un gruppo di sofferenti per amore decisi a intraprendere una azione legale per “sinistri sentimentali”.
Siamo stati anche testimoni della fine di relazioni amorose e dell’inizio di altre, abbiamo gioito per un lieto evento, e siamo stati in apprensione per la scoperta di una malattia e durante il suo trattamento. Abbiamo testato il pessimo sapore della criminalità e quello delizioso della famiglia e dell’amicizia.
Insomma, ne abbiamo viste, o meglio, lette tante.
E ci chiediamo: perché ci siamo affezionati così tanto al figlio letterario di Diego De Silva?
Perché Vincenzo Malinconico incarna l’uomo comune che arranca per arrivare a fine mese, perché nonostante sia un avvocato, – professione che nell’immaginario collettivo è legata all’agiatezza -, non può permettersi di pagare una segretaria e neppure l’assegno di mantenimento alla ex moglie. Il suo studio consiste in una piccola stanza in un piano ammezzato, arredata con mobili Ikea, (di cui ribadisce continuamente i nomi in svedese, con il risultato di un’altisonanza che fa inevitabilmente ridere) in coaffitto con personaggi strampalati. Il suo precariato intellettuale non può che estendersi anche nella sfera affettiva, e tutto ciò gli impedisce di avere una tensione verso qualsiasi progetto. Tuttavia lui, questa situazione drammatica, questa “semidisperazione”, la racconta con autoironia.
Lo scrittore, attraverso la figura dell’uomo, nonché professionista, mediocre, vuole rappresentare ed esaltare il suo diritto a essere tale. Il suo diritto a non essere perfetto, a non brillare per forza, e fotografa, al contempo, la condizione della saturazione del mercato contemporaneo della libera professione che costringe gli attori intellettuali ad annaspare per mettere insieme il denaro sufficiente per sopravvivere.
Vincenzo Malinconico si accontenta della sua modesta normalità, e ci ricorda che perdere non significa fallire, perché nonostante inciampi e cada, riesce sempre e comunque a rialzarsi. Oltretutto, i suoi difetti, che tracciano i lati deboli di ognuno di noi e con i quali è difficile non empatizzare, risultano ben compensati dalla fortuna di piacere e di conquistare qualcuno considerato come inarrivabile.
Sì, è trasandato e inconcludente nelle sue elucubrazioni da filosofo mancato, e spesso, quello che pensa non lo dice, visto che è sicuro che alla gente non interessi.
La sua voce fuori dal coro, e soprattutto il suo costante fiume di pensieri, ne fanno un esempio irresistibile di sincera e genuina incoerenza, proprio perché ritrae l’alternanza delle diverse nature che caratterizza l’animo umano. Vincenzo Malinconico è capace di ridere di se stesso, ed è grazie a questa attitudine, la quale compensa i difetti, le fragilità, le insicurezze e le frustrazioni, che fa ridere gli altri.
Nel romanzo I titoli di coda di una vita insieme Diego De Silva introduce un nuovo protagonista, Fosco Donnarumma, un professionista (uno scrittore) di successo, alle prese con la fine del suo matrimonio con Alice. Questa volta lo scrittore, nonostante non abbandoni lo spirito ironico che segna la musicalità della sua scrittura, fonda il racconto sulla prospettiva intimistica legata alla conclusione di un amore e della fetta importante di una vita passata in due.
Sottolinea come il momento della separazione, normalmente, si concretizzi compilando un prestampato giuridico e durante una udienza di fronte a un giudice.
E si chiede come sia possibile che un sentimento nobile come l’amore, nonostante si sia esaurito, possa essere trattato come un ordinario oggetto giuridico, spogliato della magia che ne caratterizza l’essenza.
Si evidenzia, infatti, come gli avvocati e il magistrato chiamati a intervenire legalmente sulla fine del rapporto sentimentale, in quanto estranei non sappiano niente delle persone che quella relazione hanno vissuto e alimentato, ma come tali, e questa è la pretesa della legge, possano introdursi in una sfera altrui così personale e profonda, ovvero quella dei sentimenti delle parti.
Diego De Silva vuole dare dignità a questo momento difficile della vita, e vuole affidare la conclusione di un sentimento reciproco non al “giuridichese” ma alla voce delle emozioni che riflettono il rispetto di due persone che si sono amate, perché la nobiltà dell’amore è al di sopra della legge, del diritto, e vola alto anche quando finisce.
È un libro struggente, un viaggio nei ricordi che inevitabilmente infonde e racconta la tristezza, e che ci stimola a riflettere sul valore che diamo alle cose che abbiamo perso.