La poesia dal sottovuoto. Per ritrovare l’aria perduta
La percezione di questo stato riveste un’importanza
decisiva, appare per svanire alle nove dietro
la gola, in cesso, tra le dita mi alleo
col buio mentre muore il mare il tetto
pure l’albero è senza colore, il cielo è sull’orlo
della rovina e il tempo, eh il tempo… cola
sulla tastiera tra i dannati
di questa mezza età. amo
la rovina del mio profilo da alto dei cieli,
una decorazione, un falso, un animale
da lana quando si fa satura e inizia l’affondo.
Hai avuto sedici anni un tempo, un’ora, cinque minuti fa
tutti vogliono la verità.
La verità è una cosa indecente.
(Mary Barbara Tolusso)
La solitudine, la quarantena, l’isolamento, la paura del contagio. Sono altrettante domande in cerca affannosa di verità, memoria e identità. Risposte che solo la poesia può trovare.
Dal sottovuoto. Poesie assetate d’aria, antologia edita da Samuele Editore (i versi di Mary Barbara Tolusso ne sono un esempio), mette nero su bianco la volontà di confrontarsi sul tema dell’isolamento, di una quarantena tanto improvvisa quanto obbligata. L’idea è scaturita dalle sparute riflessione trapelate sul web, ovvero dalla necessità sommersa di molti intellettuali di liberare un vuoto interiore che una volta confinato rimbombava con maggiore violenza. «Dovremmo pronunciare ogni parola vera come fosse un’agonia o un testamento», sosteneva Ceronetti in Poesia e solitudine (1986). Parimenti, un movente così decisivo per gli animi del 2020 non poteva essere ignorato a priori come un semplice “fattore esterno” – una trascurabile casualità – né ridotto alla solita boutade per stampare altra carta e battere cassa quando il silenzio non può più essere abbastanza. Da parte di Matteo Bianchi, il curatore della selezione, non c’è stata alcuna intenzione di strumentalizzare un momento drammatico, tantomeno di estetizzare un dolore condiviso; tutt’al più di anestetizzarlo facendolo vibrare. Non va tralasciato, infatti, il tentativo di opporsi al panico generalizzato, di scongiurare una paura che se fomentata avvelenerebbe irrimediabilmente il nostro futuro. «Eravamo già ciechi nel momento in cui lo siamo diventati, la paura ci ha già accecato, la paura ci manterrà ciechi», ammoniva Saramago in Cecità (1995).
Il curatore ha poi deciso di ordinare gli inediti quasi si trattasse di un sentiero, di un percorso per ritrovarsi attraverso le voci dei trentacinque autori coinvolti, consentendo un dialogo tra poesie provenienti da clausure personali, che nella fame d’aria manifestata si tendono l’una verso l’altra. Tramite le risorse intime di ciascun autore e la riaffermazione di ogni individualità, i versi in questione trasformano incontri, oggetti e gesti abitudinari in testimonianze emblematiche di una realtà oramai irreparabile. Leggendo i testi come fossero anelli intrecciati di un’unica catena – che cozzano e risuonano a seconda dell’armonia – ci si rende conto di quanto il bisogno autentico e senza soluzione di isolarsi, di allontanarsi da un rumore più o meno riconosciuto, fosse già insito in loro e cercasse talvolta appagamento per mantenerli in equilibrio.
Scrive Matteo Bianchi: “Il nostro è stato quindi un appello alla costruzione di una testimonianza storica, oltre che sociale. Memore del passato, utile per il futuro. Utile a noi. Chissà se la reclusione costante, al pari della stretta al cuore per la perdita non delle piccole libertà quotidiane bensì di un affetto, non ci costringa a crescere come fanciulli in lutto, travolti e colmati da qualcosa che per riuscire a sopravvivere sproni a crescere anzitempo, il sentimento rappresentato fedelmente dal male oscuro di Berto. Possa quindi, ciò che ci spaventa e ci affligge, renderci migliori.