Lo strano “attaccamento” al tappino di plastica

tappino

La teoria del tutto di Stephen Hawking tentava di realizzare l’impossibile: riunire in un unico quadro tutti i fenomeni fisici conosciuti.
Ma nemmeno l’eterna lotta tra la relatività generale e la meccanica quantistica potrebbe spiegare perché da qualche mese il tappino rimane saldamente attaccato alla nostra bottiglietta d’acqua di plastica.

Lo svitiamo con forza ma lui non si stacca. E per bere dobbiamo inventarci soluzioni mai sperimentate prima. Tutte scomodissime, inefficaci ed esteticamente ineleganti. Alcuni, più disperati di altri, tentano di staccarlo a morsi. Li ho visti con i miei occhi.
Perché? Non sto chiedendo il motivo ufficiale. Conosco bene la direttiva europea che l’ha imposto per tentare di ridurre l’inquinamento da plastiche e microplastiche.

Parlo del motivo vero.
Per rispondere dobbiamo chiamare in causa l’antropologia, le teoria dell’evoluzione e la sociologia comportamentale.
In sintesi. Gli esseri umani non sono in grado di bere una bottiglietta d’acqua e di conferirla correttamente nel contenitore della plastica. Non dico riconoscere il valore del PET per differenziarla ulteriormente e consentirle una seconda vita da bottiglietta rigenerata. Sarebbe troppo.

Parlo del fatto che noi la bottiglietta la buttiamo dove capita e sadicamente al povero tappino facciamo fare altri viaggi, spesso inspiegabili. Di sicuro non lo lasciamo avvitato al suo posto. E spesso finisce in mare. La questione è complessa. Il PET della bottiglia dovrebbe essere conferito a parte per essere ulteriormente valorizzato mentre il polimero accoppiato del tappino dovrebbe finire nel sacco della plastica. Troppo complesso.

Risultato? Hanno scelto il male minore e adesso lo hanno incollato alla bottiglietta mentre noi, nemmeno troppo lentamente, ci stiamo estinguendo colpiti da un virus chiamato stupidità.
Virus che non ha ancora sperimentato nessun vaccino capace di salvarci.