Benvenuti all’Isola d’Elba

Isola
Isola d'Elba, veduta aerea da Portoferraio.

“La sostenibilità ha bisogno di rumore al posto del silenzio. Un rumore armonico e assordante. L’inquinamento è una metafora del consumismo e non del consumo, dello spreco e non dell’abbondanza, dell’abbandono e non solo dell’incuria. Noi siamo animali abituati alla produzione. È la nostra natura, è quello che ci differenzia dagli altri esseri viventi sulla terra. E la produzione deve sempre essere rivoluzionaria. Parlo di inquinamento dei rapporti, di produzione di risorse dedicate al bene comune, di reazioni di comunità (materialità di comunità direbbero quelli che usano solo il linguaggio della sostenibilità come codice identitario), di economia circolare delle relazioni”. Il direttore di Italia Circolare e di MEMO – Grandi Magazzini Culturali, Paolo Marcesini, racconta su Enjoy Elba and the Tuscan Archipelago diretta da Patrizia Lupi (Simtur Editore), la sostenibilità delle relazioni e dell’ascolto dei bisogni della comunità visti attraverso i dieci anni di lavoro di Fondazione Isola d’Elba.

Sono andato sull’isola dove si costruiscono e si immaginano nuove idee di futuro. Dove la Fondazione Isola d’Elba ha festeggiato il proprio decennale con una giornata dedicata alla sostenibilità sociale, la terza dimensione della sostenibilità, la frontiera che definisce meglio di altre l’identità di un territorio e delle persone che lo abitano.

L’isola è il luogo ideale dove ascoltare, progettare, condividere, misurare e comunicare la sostenibilità (e la responsabilità) sociale di una comunità. E la Fondazione di Partecipazione è lo strumento ideale per “ascoltare” il territorio e i suoi bisogni e definire modi e tempi della competizione.

Ascoltare per competere è una mission, un impegno, un obiettivo.

In una parola, il futuro.

Faccio due mestieri diversi ma confinanti, il giornalista e il comunicatore. Ad unirli l’obiettivo della Sostenibilità e il paradigma dell’Economia Circolare. La chiamiamo Economia delle Relazioni. Sul pianerottolo dove si affacciano le porte del nostro lavoro e mettiamo la nostra cassetta degli attrezzi troverete contenuti, narrazione, storytelling, significati, catena del valore.

“Le storie esistono solo se le sai raccontare”, mi è capitato di scrivere una volta. E mi sono affezionato a questa frase. Tutte le nostre azioni e tutti gli strumenti, girano intorno alla relazione sempre più stretta e profonda che si crea tra la produzione di beni e servizi e la loro capacità di generare condivisione, comunità e valore. Le storie che esistono possono cambiare in meglio il paesaggio che ci circonda.

Perché il paesaggio deve raccontare storie di inclusione, parità di genere, lotta contro ogni forma di scarto, superamento delle fragilità e delle differenze, accessibilità, recupero della memoria e delle tradizioni, formazione, modi diversi di essere e fare comunità.

Talvolta tutto questo lo chiamiamo Economia delle Relazioni.

Mentre sono sul traghetto che mi porta sull’isola vengo aggredito da un ricordo. Sono affezionato a Totò. Quando lui se ne è andato non ero ancora nato. Eppure ha avuto un ruolo importante nella mia vita. Un ruolo per così dire onirico. La madeleine dei ricordi è una fabbrica a pieno ritmo. Era l’anno della maturità. Angoscia, paura e turbamento. Per essere “maturo” devi passare un esame. La notte della vigilia degli orali faccio un sogno. Indimenticabile. Nel mio sogno sono sull’Isola d’Elba (non c’ero ancora mai stato). Scendo dal traghetto e a piedi arrivo al liceo dove mi aspetta la commissione d’esame. Un liceo bellissimo, immerso nel verde. Mi accoglie il bidello. È Totò. Lo riconosco subito. E subito gli chiedo: “Mi scusi, ma lei non dovrebbe essere morto?” Come se la cosa più strana fosse quella e non il fatto che facesse il bidello in un liceo sull’isola d’Elba. Lui mi risponde nell’unico modo possibile: “Ero morto, ma prima, tanto tempo fa, adesso faccio il bidello”. La spiegazione mi sembra convincente. E allora tiro fuori un quaderno e gli chiedo: “Signor Totò, potrei farle alcune domande?”

Lui si siede, versa dell’acqua in un bicchiere e come se fossimo sul set di un vecchio film in bianco e nero mi racconta dei suoi rapporti con Peppino De Filippo, della storia del Principe, di cosa significa essere un comico, del suo amore per Napoli e di quella volta che aveva conosciuto Marilyn Monroe. L’esame la mattina dopo nel mio liceo di Sarzana andò bene. E quella con Totò fu la mia prima intervista. La seconda sarebbe arrivata molti anni dopo. E contrariamente alla prima, durante la seconda ero sveglio.

L’isola dove non ero mai stato in quel sogno era diventato il palcoscenico del mio debutto professionale, aveva disegnato il mio destino.

L’isola disegna il destino di molti, è una straordinaria metafora per definire la sostenibilità. Il mare protegge, unisce, insegna, disegna un confine e definisce una destinazione. Tutto quello di cui hai bisogno quando sei “isolato” è una risorsa finita, di cui devi prenderti cura. Perché l’isola non isola mai, unisce, sostiene, trasforma gli individui in comunità, il bene in bene comune, definisce gli obiettivi. Non devi sprecare nulla. Non puoi sprecare nulla. Non è mai una privazione, ma un vantaggio. Essere resilienti significa imparare a competere insieme. Partnership per obiettivi recita l’SDGs numero 17, l’ultimo e il più importante. Significa che le cose si possono fare bene sono se le facciamo insieme.

Ecco cosa ci faccio sull’isola. Sono qua per ascoltare e dare qualche consiglio su come si può ascoltare tutti insieme per competere meglio.

La sostenibilità ha bisogno di rumore al posto del silenzio. Un rumore armonico e assordante.

L’inquinamento è una metafora del consumismo e non del consumo, dello spreco e non dell’abbondanza, dell’abbandono e non solo dell’incuria. Noi siamo animali abituati alla produzione. È la nostra natura, è quello che ci differenzia dagli altri esseri viventi sulla terra. E la produzione deve sempre essere rivoluzionaria.

Parlo di inquinamento dei rapporti, di produzione di risorse dedicate al bene comune, di reazioni di comunità (materialità di comunità direbbero quelli che usano solo il linguaggio della sostenibilità come codice identitario), di economia circolare delle relazioni.

Ascoltare e definire la sostenibilità sociale di un territorio significa fare un patto tra imprese, terza missione accademica, profit e non profit. compliance normativa e comunicazione per ridefinire i contenuti della catena del valore.

Lo dobbiamo fare per combattere la muffa maleodorante dell’indifferenza. Lo dobbiamo fare per il futuro dei nostri figli. Lo dobbiamo fare perché anche se in fondo non sarà tutta colpa nostra, siamo noi quelli chiamati a trovare la soluzione. Il futuro esisterà solo se sapremo costruirlo.

E mai come oggi parole così retoriche e fastidiose come quelle che ho appena scritto definiscono il destino. Sembra di giocare la partita a scacchi contro la morte de Il Settimo Sigillo di Ingmar Bergman.

Mi viene in mente una frase di Eugenio Montale “Occorrono troppe vite per farne una”. E l’unica che abbiamo è fragile, maledettamente fragile. Ma noi facciamo finta di non saperlo e su questo malinteso ci giochiamo tutti i paradossi della nostra vita, pubblica e privata, intima e collettiva.

Perché noi siamo la nostra fragilità.

Preferiamo da sempre curare gli effetti piuttosto che le cause. Lo abbiamo fatto con le risorse del pianeta, nascondendo la testa sotto la sabbia delle esigenze della produzione e della retorica del mercato. Perché in fondo è sempre più conveniente trovare la cura per il cancro che prevenirlo. Da qualche anno abbiamo iniziato con la terapia della sostenibilità ma sappiamo che se non iniziamo seriamente con la prevenzione riducendo drasticamente il nostro impatto ambientale, nessuna terapia potrà salvarci dalle metastasi dell’insostenibilità.

“La guerra moderna alle paure umane, sia essa rivolta contro i disastri di origine naturale o artificiale, sembra avere come esito la redistribuzione sociale delle paure, anziché la loro riduzione quantitativa“.

Questa frase di Zygmunt Bauman descrive il destino minore dell’individuo.

L’isola per definizione non può accettare l’esistenza del destino minore di nessun individuo.

Ecco il senso profondo e meno retorico della sostenibilità sociale.

Il futuro può partire dall’Isola d’Elba e dalla sua Fondazione che per competere ha deciso prima di tutto di “ascoltare” i bisogni del suo territorio e della sua comunità.

Siamo qua anche per questo.

Torneremo anche per questo.

Isola

Enjoy Elba and the Tuscan Archipelago, Simtur, 2024.