Viaggio alla scoperta dell’acqua, dal fiume al bicchiere

fiume

Tratto da L’acqua… dal fiume al bicchiere di Julien Lerat e Yazken Andreassian. Riduzione e adattamento di Fausto Cosentino

• Gilberto, ho sete!
• Zitto, Matteo, risparmia la saliva… abbiamo tutti sete. E se parliamo è peggio.
• Ma Gilberto, ho una sete tremenda, sto morendo! – ripeté Matteo.

Era la fine del pomeriggio e a Matteo la strada che saliva verso casa pareva interminabile.
Anche Enrico, l’amico di Gilberto, aveva una gran sete:
• Che idea, andare a giocare a basket con questo sole senza portare una bottiglia d’acqua!

Appena arrivati a casa i tre ragazzi si lanciarono sul rubinetto del giardino, intenzionati a bere più acqua possibile. Dato che Enrico era loro ospite, Gilberto e Matteo lo lasciarono bere per primo… ma lui cambiò idea:
• Sapete, ragazzi, non è mica detto che l’acqua del rubinetto sia potabile…
• Non è potabile?! – esclamarono all’unisono Matteo e Gilberto – Come sarebbe a dire? Noi la beviamo tutti i giorni. La bevono anche mamma e papà. È buonissima!

In quel momento apparve sulla soglia la madre di Matteo e Gilberto. Aveva sentito l’osservazione di Enrico…
• Chi ti ha detto che l’acqua del rubinetto non è potabile?
• Mah…non saprei – rispose Enrico imbarazzato – Credo di averlo sentito dire al telegiornale: parlavano dei bambini asiatici che si ammalano per colpa dell’acqua che bevono
• E a casa tua non la bevi mai l’acqua del rubinetto? – domandò Gilberto.
• Beh…sì – rispose Enrico – Papà la beve sempre, ma la mamma preferisce quella in bottiglia perché dice che a volte quella del rubinetto sa di cloro.
Nel dire questo, però, Enrico si ricordò di avere una gran sete. Decise perciò di fidarsi dei suoi amici e si scolò un bel bicchierone di acqua del rubinetto.

Quella sera Enrico era stato invitato a dormire a casa dei suoi amici. La madre di Matteo e Gilberto suggerì ai ragazzi di farsi una doccia, mentre lei preparava la cena.
• Perché non facciamo il bagno, invece? – propose Enrico.
• Sei matto? – rispose Gilberto – In tre, ci vorrebbero delle ore! Facciamo la doccia, piuttosto. È molto più rapida. E poi, facendo il bagno si spreca un sacco di acqua e ho sentito dire alla radio che, essendoci rischio di siccità, bisogna cercare di risparmiarla.
• Dai i numeri – ribatté Enrico – Per fare un bagno basta riempire la vasca e poi si può chiudere il rubinetto. Sotto la doccia invece l’acqua scorre in continuazione e se ne consuma di più!
• Invece di litigare perché non andate a controllare su Internet? – intervenne Manuela, la sorella maggiore di Matteo e Gilberto.

Poco dopo Enrico dovette ammettere che aveva ragione Gilberto. Una doccia consuma la metà dell’acqua del bagno.
• Che peccato! – disse Enrico – mi piace così tanto crogiolarmi in un bel bagno caldo…
• Via, verso la doccia! – esclamò Matteo – Doppia porzione di dolce per chi arriva primo!
E i tre ragazzi scomparvero di corsa in direzione del bagno.

Si era fatta ora di cena. Al centro della tavola troneggiava una grande caraffa d’acqua in cui galleggiavano dei cubetti di ghiaccio. Dato che il padre dei suoi amici lavorava per l’azienda dell’acqua Enrico ne approfittò per domandargli:
• È proprio vero che l’acqua del rubinetto è potabile?
• Ma certo! Al lavoro ho l’incarico di controllare continuamente la qualità dell’acqua del rubinetto. È filtrata: vuol dire che la fanno passare attraverso le maglie di una rete fittissima che trattiene tutto ciò che è nocivo per la salute. E prima di immetterla nei tubi ci viene aggiunto un po’ di cloro…
• Ma allora è per questo che la mamma dice che l’acqua del rubinetto ha un saporaccio!
• Vedi, Enrico, di cloro ne aggiungiamo appena una goccia per un volume uguale a cinque vasche da bagno! Facciamo di tutto perché abbia un buon sapore, ma dato che deve viaggiare quasi due giorni fra lo stabilimento e il rubinetto di casa tua, per sicurezza ci aggiungiamo il cloro, che è un ottimo disinfettante. In questo modo puoi essere certo di bere sempre acqua di buona qualità.
Matteo a questo punto obiettò:
• Ma se è così difficile portare l’acqua fino al rubinetto non sarebbe più semplice bere sempre l’acqua in bottiglia?
• Eh no, ragazzo mio! L’acqua imbottigliata è cinquecento volte più cara di quella del rubinetto! Un litro di acqua del rubinetto costa un millesimo di Euro, mentre una bottiglia al supermercato costa cinquanta centesimi. E poi ricordati che per fabbricare la plastica delle bottiglie serve il petrolio e di petrolio ce n’è sempre meno e bisognerebbe usarne il meno possibile.

Durante la discussione Enrico si era addormentato sulla sedia. Matteo, dopo aver cercato inutilmente di svegliarlo al momento del dolce, fu costretto… a farsi carico della sua porzione di crostata di mele.
La mamma annunciò:
• È ora di andare a dormire. Dato che stasera fa caldo, ho messo i vostri tre materassi sul balcone, come mi avevate chiesto: stanotte potete dormire sotto le stelle.
Gilberto e Matteo furono felicissimi di poter dormire sul grande balcone e si distesero, col volto rivolto al cielo, a contemplare le stelle. Accanto a loro, il padre aveva sdraiato Enrico che dormiva già. –
Come erano belle le stelle! Ad un tratto Matteo vide una stella cadente:
• Fantastico! Una stella cadente! Ho già un desiderio pronto!
E, appena ebbe pronunciato queste parole, Gilberto e Matteo raggiunsero Enrico in un profondo sonno.

Trascorse un po’ di tempo…
I tre ragazzi aprirono gli occhi contemporaneamente nel bel mezzo della notte. Guardando il cielo ebbero la strana impressione che le stelle, grosse come arance, li stessero osservando dalla volta celeste. Attorno a loro tutto aveva assunto dimensioni smisurate e si sentivano piccoli come soldatini di piombo. Matteo, a bassa voce, esclamò!
• Grandioso! Il mio desiderio si è realizzato!
Enrico e Gilberto si voltarono verso di lui e gli chiesero:
• Il tuo desiderio? Di che parli, Matteo?
• Ieri sera, prima di addormentarmi, ho visto una stella cadente ed ho espresso un desiderio. Ho chiesto alle stelle di farci diventare piccolissimi, così piccoli da poter entrare nei tubi e risalire fino alla sorgente dell’acqua del rubinetto.
• Fantastico! – esclamarono all’unisono Enrico e Gilberto.
• Però se vogliamo risalire fino all’estremità del tubo non c’è tempo da perdere, le stelle possono mantenerci piccoli finché c’è buio!

I ragazzi si diressero verso il rubinetto della cucina. Arrampicarsi fino al lavello non fu cosa da poco, ma alla fine ci riuscirono aggrappandosi ai canovacci. Arrivati in cima aprirono un po’ il rubinetto spingendolo con tutte le loro forze e vi si infilarono dentro, aggrappandosi alle pareti del tubo per non farsi trascinare via dal sottile flusso dell’acqua.
Via via che i loro occhi si abituavano all’ oscurità, scoprirono che l’interno del tubo era rischiarato da una debole luminosità argentata. Si misero a nuotare. Non sentivano né il freddo dell’acqua né la mancanza di ossigeno.
Dopo aver risalito la corrente per alcuni minuti, i bambini giunsero in una strana stanza, occupata da grosse pale immobili che ricordavano la ruota di un mulino.
• Dove siamo? – domandò Matteo.
• Non lo so – rispose Gilberto – questo posto non mi dice niente, mi sa che ci siamo persi.

Improvvisamente, il bagliore argentato divenne azzurro. Davanti ai loro occhi sbigottiti si materializzarono fluttuando a mezz’aria dei baffoni neri, poi due sopracciglia folte come spazzolini e infine tutto il corpo di un bizzarro individuo.
• Come osate penetrare nel mio regno? – gridò – State entrando nel mondo dei portatori d’acqua!
• Ci dispiace tanto, signore – balbettarono i tre bambini spaventati
• Ci dispiace, ci dispiace… Per i miei baffi, per questa volta lascerò correre, ma guai a voi se vi ribecco!
• Lei è un… fantasma? – domandò Matteo
• Arcibaldo Goccialnaso. Per servirvi! In effetti, ho lasciato il mondo dei vivi nel 1782. Annata triste per i portatori d’acqua… Quell’anno fu inaugurata la prima azienda di distribuzione dell’acqua della nostra città, che segnò il declino della mia illustre confraternita. Da allora, abito nelle condutture dell’acqua potabile. In seguito la rete si è estesa notevolmente, è chiaro…
• Sa dove ci troviamo? Ci siamo persi… Volevamo solo risalire il tubo per capire da dove veniva l’acqua del rubinetto. Cos’è quella strana ruota?
• Altolà! Calma, ragazzi! Niente paura. Mi aggiro in queste condutture da più di duecento anni e le conosco come le mie tasche. In questo momento vi trovate dentro il contatore dell’acqua, proprio davanti a casa vostra. Quando il contatore gira, questa ruota fa scattare le cifre del quadrante, così l’azienda dell’acqua sa quanta ne utilizzate ogni mese.
• E perché lo vogliono sapere? – domandò Gilberto
• Ma per spedire la bolletta ai vostri genitori – rispose il fantasma
• Io credevo che l’acqua fosse gratuita – disse Enrico
• Come sarebbe a dire “gratuita”? Non cambiate proprio mai, voi ragazzi! Nel XVIII secolo era la stessa storia. I bambini del quartiere mi dicevano sempre che l’acqua era troppo cara! Se l’avessi distribuita gratis come mi sarei guadagnato da vivere io? Trasportare quei due maledetti secchi non era certo uno scherzo! E se oggi nessuno pagasse per la fornitura come si guadagnerebbero da vivere i dipendenti dell’azienda che la distribuisce? Come farebbero a garantire la qualità dell’acqua?
Gilberto si è messo a pensare a voce alta:
• Lei ha ragione, signor Arcibaldo! Papà lavora tutto il giorno all’azienda dell’acqua: ripara le pompe, fa cambiare i grossi tubi che passano dalla strada quando si rompono… Come farebbe a comprare i pezzi di ricambio?
• E poi – aggiunse Matteo – se nessuno pagasse l’acqua, alla fine del mese papà non riceverebbe lo stipendio…
Arcibaldo precisò:
• Un’altra cosa da considerare è che se l’acqua fosse gratuita probabilmente alcuni viventi, poco coscienziosi, non farebbero neanche lo sforzo di chiudere i rubinetti e sprecherebbero l’acqua…
Ora i bambini erano molto meno intimiditi.
• Per favore, signor Arcibaldo, perché non ci accompagna per un po’ e ci indica la strada? Così potrebbe anche continuare a spiegarci da dove viene l’acqua del rubinetto.
• D’accordo! – rispose Arcibaldo – Usciamo dal contatore e mettiamoci in marcia verso la torre dell’acqua!

Guidati da Arcibaldo, attraversarono tubi sempre più grandi, finché giunsero a un gomito dove la conduttura si innalzava molto in alto: erano arrivati ai piedi della torre dell’acqua.
Dopo una rapida salita, i bambini riemersero in superficie. Guardando fuori da un oblò, si accorsero che sovrastavano tutta la città.
• Com’è bella la città addormentata! – esclamò Enrico – È stata una buona idea quella di costruire una piscina in alto così possiamo nuotare e nello stesso tempo ammirare il paesaggio.
• Ma via, se l’acqua viene portata fin quassù non è certo per farle ammirare il paesaggio – lo rimbeccò Arcibaldo – ma per farle raggiungere la pressione che le consentirà di salire da sola in tutti i palazzi del quartiere. Un tempo dovevo portarla su io, caricandomela sulla schiena…
• Ah sì? – soggiunse Matteo – Ma chi ha trasportato l’acqua fin qui? Ha preso l’ascensore?
• Niente ascensore – rispose Arcibaldo – se ne occupa una pompa.
• Perché farla salire – intervenne Gilberto – se poi deve ridiscendere? Mi sembra una gran scemenza…
• Un po’ di rispetto per l’idraulica! – disse Arcibaldo – Una torre dell’acqua non è affatto una gran scemenza, ma serve a regolare la domanda: si riempie lentamente durante tutta la giornata per poter soddisfare la richiesta nelle ore di punta. Non potete neanche immaginare cosa succede qui alle sette di mattina, quando tutti si fanno la doccia prima di andare al lavoro! E ora andate a vederla, questa famigerata pompa!

Incuriositi, i ragazzi si rituffarono verso il basso, seguendo un altro tubo. Arrivati in fondo, attraversarono la pompa e infine sbucarono in una specie di fabbrica, tutta scintillante, piena di lucenti cisterne di acciaio inossidabile.
• Ora ci troviamo nella centrale di potabilizzazione – annunciò Arcibaldo.
• Che bello! È il posto di cui ci ha parlato ieri sera papà! – disse Gilberto – Allora è qui che viene fabbricata l’acqua del rubinetto?
• Ma no! L’acqua non si fabbrica! Qui viene trattata per garantire che sia potabile e non pericolosa per la salute anche dopo il lungo viaggio fra la centrale e i rubinetti. In questo modo può essere sempre bevuta.
• Ma allora, se non si fabbrica, da dove viene? – esclamò Matteo.
• Eh, piccolo mio, questo sta a voi scoprirlo… Coraggio, vi dò un indizio: l’acqua di questa centrale viene prelevata dal fiume, per di là. Io però adesso devo lasciarvi qui. Arrivederci, ragazzi. State per affrontare un viaggio completamente diverso…
E svanì.

Un po’ tristi per aver perso Arcibaldo che li aveva guidati fin lì, i ragazzi uscirono a guardare il fiume… Alla luce delle stelle, però, non vedevano granché… e quindi si sporsero un po’ troppo finché, ad un tratto, splash! scivolarono tutti e tre nell’acqua. – La corrente li allontanò rapidamente dalla riva. Riuscirono ad issarsi su un grosso ramo e dalla loro zattera di fortuna i bambini si misero ad osservare il fiume più da vicino.
• Che corrente! – esclamò Gilberto
• Ma da dove viene tutta quest’acqua? – chiese Matteo – Sarà di un gigante che ha lasciato aperto il rubinetto sulle montagne dove abita?
• Ma no – disse Enrico – non ci sono giganti, da queste parti. Quest’acqua proviene dalla pioggia.
• – Ah, ecco! – disse Matteo – Però che strano: oggi non piove, eppure il fiume scorre lo stesso.
Gilberto, il più saputello, si precipitò in soccorso di Enrico:
• Enrico ha ragione, l’acqua dei fiumi proviene dalla pioggia. Ma non è detto che scorra subito via: può rimanere nel terreno inzuppandolo come una spugna. Quando smette di piovere la spugna si vuota lentamente, goccia a goccia, e così il fiume può scorrere anche molto tempo dopo che ha smesso di piovere.
• Ma come fa l’acqua a circolare sotto terra? – chiese Matteo
Gilberto rispose gravemente:
• Papà mi ha detto che dobbiamo immaginare che le rocce sotterranee siano tutte bucherellate, come delle spugne, e che queste spugne siano ammucchiate le une sulle altre. Quando piove, la spugna che sta più in alto si riempie e poi, quando è piena, si svuota un po’ nel fiume e anche un po’ nella spugna che sta sotto e così via. Tutte le spugne sono comunicanti e al loro interno l’acqua si muove con grande lentezza…

Non fece in tempo a finire la frase, perché si accorse che la corrente lo portava dritto verso una grande barca ormeggiata alla riva. Afferrando un ramo, riuscì ad attutire l’urto e a respingere la chiatta.
• Meno male che viaggiamo di notte e che a bordo di queste barche dormono tutti – disse Enrico – perché questa chiatta è più grande di un camion! Pensate ai gorghi che deve creare quando si muove!
• È vero – soggiunse Gilberto – Enrico, ti ricordi Eleonora, la nostra compagna di scuola? Ci disse che suo padre ha una chiatta con cui trasporta tutto l’anno merci molto pesanti, come sabbia o metallo. Le chiatte sono i camion dei fiumi. Possono trasportare in una volta sola la quantità di merce contenuta in duecento camion.
• Wow! – esclamò Matteo – Se si trasferiscono duecento camion sul fiume ci saranno meno ingorghi sulle strade. Non mi piacciono i camion: quando li vedo passare a tutta velocità mi fanno paura. E poi puzzano! Che peccato che non ci siano più chiatte per sostituire i camion.
• Hai ragione – disse Gilberto – le chiatte sono comode, permettono di spostare con facilità carichi pesantissimi. Ho letto che per fare avanzare una chiatta bastano dei cavalli e, a volte, degli uomini.

Il ramo su cui navigavano i bambini continuava a discendere il fiume, che ora era più ampio e la corrente meno rapida. Le stelle brillavano sempre con la stessa intensità. Matteo, seduto davanti, scrutava l’acqua scura nella speranza di vedere un pesce. Dopo qualche istante, chiamò sottovoce gli altri:
• Venite qui senza far rumore, c’è un grosso pesce proprio sotto il ramo, sembra voglia dirci qualcosa!
I due ragazzi si avvicinarono a Matteo: un pesce è bello da guardare quando si sta sulla riva e si è di dimensioni normali, ma ora che erano grandi come formiche era senz’altro più inquietante. A un tratto si resero conto di capire ciò che diceva il pesce:
• Buonnnngiorrrrrno! Vi sto seguendo e osservando da un po’ di tempo. Vedo che siete bambini curiosi. Non esitate a farmi domande: ne so molto più io di tutti i vostri libri di scuola! Questo fiume lo conosco da quando sono nato, ci vivo sempre!
Matteo domandò subito:
• Davvero? Possiamo fare tutte le domande che vogliamo?
• Via, via, ragazzo mio! Non lasciamoci trasportare dall’entusiasmo. Ho detto “delle domande”, non “tutte le domande”. Dalle stelle ho saputo che dovete essere di ritorno prima dell’alba. Diciamo che risponderò a tre domande e dopo toccherà a me farne una a voi. Se mi date la risposta giusta vi aiuterò a tornare a casa…
Gilberto, il più audace fece la prima domanda:
• Lei chi è?
• Come chi sono. Non mi hai riconosciuto? Che diamine! Sono il più bello dei pesci carnivori, il più vorace, nonché il più apprezzato dai buongustai: sono il luccio, il predatore più grande di questo fiume che, diciamolo, senza di me perderebbe molto del suo fascino.
Matteo domandò:
• Cosa intende per carnivoro? Non mangerà i bambini, voglio sperare!
• Certo che no, sono decisamente troppo grossi… in genere… Quello che voglio dire è che non mi accontento di biascicare piante acquatiche e di rovistare nella melma come le carpe! Mi nutro di altri pesci, larve di insetti e vermi. Il fiume pullula di animali, dai più grandi come i pesci ai più piccoli, come gli insetti, i molluschi, i crostacei. C’è tutto un mondo che vive intorno e dentro al fiume, che vive grazie al fiume. Ci sono uccelli, anfibi e… anche esseri umani che sfruttano il fiume per trasportare merci, irrigare i campi, produrre elettricità, acqua potabile… Il problema, con voi umani, è che tendete a pensare di essere gli unici a utilizzare l’acqua…
• Eh, ci dispiace tanto – disse Gilberto – Ma ci dica, signor luccio, abbiamo saputo che di recente c’è stata un’alluvione: per lei sarà stato un bel guaio, immagino…
• Niente affatto! Le piene sono un guaio per gli esseri umani, ma non per gli abitanti del mondo acquatico. Se voi umani non vi foste insediati così vicino alle rive del fiume, occupando il suo letto maggiore, avreste avuto molti meno problemi. Dal punto di vista del fiume, tutti quegli edifici che avete costruito lungo le rive in realtà occupano una parte del suo letto. E per me, luccio, è un bel problema che siano scomparsi i prati che c’erano sulle rive: è lì che andavo a deporre le uova durante le inondazioni.
• Vuol dire che per deporre le uova lei ha bisogno delle inondazioni?
• Eh sì! Sapete, le inondazioni sono benefiche per l’ambiente naturale. Io posso deporre le uova solo quando i prati sulla riva sono inondati: allora mi infilo fra l’erba alta per deporvi la mia preziosa prole. Senza le inondazioni non potrei riprodurmi e finirei per scomparire!
• Questa poi! – disse Enrico – Ma se è così, perché…
• Eh, no, banda di chiacchieroni! Avete già fatto le vostre tre domande: ora tocca a me!
• Va bene, va bene, non si arrabbi. La ascoltiamo.
• Ebbene, io vorrei sapere perché inquinate l’acqua del mio fiume: ne ho abbastanza della superficialità di voi esseri umani! Quando si tratta di utilizzare l’acqua la volete pura, ma dopo averla usata la buttate via senza farvi troppe domande, come se la natura fosse in grado di assorbire e depurare tutto ciò che non sapete trattare voi.
• Però ci proviamo! – intervenne Gilberto – Papà mi ha detto che l’acqua delle fogne non viene più scaricata nei fiumi già da diversi anni. Prima attraversa alcuni impianti di depurazione e poi…
Matteo, che cominciava a spaventarsi per i movimenti bruschi del luccio, intervenne:
• Io sono tutto bagnato e ho freddo. Voglio tornare a casa!

Il luccio capì di essere stato troppo duro.
• So come potete fare per tornare a casa: la conduttura del vostro “impianto di depurazione” è proprio qui vicino. Vi ci porterò, così potrete risalire i tubi fino a casa vostra. Ma, mi raccomando, non dimenticate che le specie acquatiche contano su di voi perché mettiate fine all’inquinamento dei corsi d’acqua!
Il gruppetto giunse vicino a un grosso tubo di cemento. Il luccio spinse con delicatezza i tre ragazzi verso riva. Poi, agitando la pinna caudale in segno di saluto, tornò da dove era venuto. – M4
I bambini esitarono. Il luogo in cui si trovavano non assomigliava affatto a quello dove li aveva lasciati Arcibaldo.
In realtà stavano per affrontare un’altra parte del ciclo dell’acqua: quello delle acque usate.
• Non siamo venuti da qui – disse Gilberto
• Che importanza ha? – rispose Enrico – Un tubo vale l’altro.
• Eppure è diverso – disse Gilberto – Del resto quando siamo caduti nel fiume l’acqua veniva aspirata dal tubo e inviata alla centrale, mentre qui succede esattamente l’opposto: l’acqua dal tubo viene scaricata nel fiume! Ci troviamo in un circuito diverso!
• Non importa – intervenne Enrico – Il luccio ha detto che possiamo tornare a casa passando da qui, e io mi fido di lui. Seguitemi, presto: le stelle cominciano a impallidire!

Non molto convinti né rassicurati, Gilberto e Matteo seguirono Enrico, infilandosi nella conduttura buia. All’inizio non vedevano niente, ma dopo pochi istanti apparve, come per magia, un debole chiarore che consentì loro di procedere seguendo un rivolo d’acqua.
• Certo, Enrico, che qui è davvero buio pesto, meno male che c’è quella lucina… – disse Gilberto – Avremo fatto bene a fidarci del luccio? Forse voleva farci uno scherzo o vendicarsi del fatto che gli esseri umani inquinano il fiume…
• Hai un’idea migliore? . chiese Enrico
Matteo intervenne, prima che si azzuffassero:
• Zitti tutti e due! Non è il momento di litigare. Guardate: sembra che la luce ci indichi la strada…
In effetti la luce che li guidava stava illuminando con maggiore intensità una griglia che permetteva di uscire dalla conduttura. Sguazzando nell’acqua del condotto, lo attraversarono senza difficoltà (dopo tutto erano grandi solo pochi centimetri) e sbucarono fuori, accanto a una strana struttura: una grande vasca di almeno venti metri di diametro, in cui ribolliva un’acqua brunastra.
• Cosa sarà mai? C’è un cartello – disse Enrico – con su scritto “Vasca a fanghi attivi”. Deve essere uno di quei marchingegni che consentono di ripulire l’acqua prima di scaricarla nel fiume.

In quel momento sentirono provenire dal bordo della vasca un brusio cadenzato. Sembrava una marcia militare. Avvicinandosi fino ad arrivare proprio sul bordo, finirono per distinguere un lungo filamento: era formato da una schiera di minuscoli ometti grassottelli che nuotavano infila indiana nell’acqua della vasca. Ognuno di loro non misurava più di cinque millesimi di millimetro, ma la loro lunga fila era visibile ad occhio nudo.
• Un due! Un due! – scandiva il primo – Compagnia, al mio comando, alt!
Tutti gli ometti si immobilizzarono e cominciarono ad armeggiare nell’acqua circostante, contorcendosi a più non posso. Un attimo dopo, uno di loro uscì dal gruppo per sorvegliare la zona. Scorgendo i tre bambini si mise a sbraitare:
• Spie! Avanti a dritta!
• Non siamo spie, signore, stiamo semplicemente visitando l’impianto di depurazione – rispose con calma Gilberto
Quello che sembrava il capo si avvicinò e, con un tono di voce il più autoritario possibile, disse:
• Cosa ci fate voi qui? Lasciateci lavorare, dobbiamo ancora pulire tutta questa parte della vasca e abbiamo appena cominciato…
• Siete voi che pulite tutta quest’ acqua? – esclamò Matteo, a bocca aperta.
Il minuscolo capo, lusingato, snocciolò con voce meccanica:
• Terzo reggimento, settimo battaglione, quattordicesima compagnia. In borghese, siamo noti come il gruppo dei batteri scelti!
• Batteri…siete dei batteri? – intervenne Matteo – Io credevo che l’acqua si ripulisse col sapone…
A queste parole gli ometti si fermarono di colpo, si guardarono e scoppiarono in una fragorosa risata. Il capo continuò:
• Col sapone! Povero amico mio, meno male che non usiamo il sapone, altrimenti i fiumi si metterebbero a fare la schiuma come la sciacquatura dei piatti! Parlando più seriamente, i batteri sono uno dei componenti essenziali del ciclo di depurazione delle acque usate: degradano la maggior parte delle sostanze inquinanti e così facendo proteggono l’ambiente. Dopo il nostro intervento, è possibile scaricare le acque usate nel fiume, riducendo di molto il rischio di inquinamento.
• Però il papà di Gilberto e Matteo ci ha detto che all’acqua del rubinetto viene aggiunto il cloro proprio per uccidere i batteri. Come la mettiamo?
• Uhmmmm… stai facendo una gran confusione. I batteri di cui parli sono quelli dell’acqua potabile, mentre in questo caso abbiamo a che fare con l’acqua usata. Nell’acqua potabile, i batteri sono pericolosi perché provocano malattie, mentre qui gli esseri umani ci tengono in grande considerazione – scandì il capo – In particolare, gli umani ci forniscono un sacco di ossigeno per respirare: è per questo che intorno a noi ci sono tutte queste bolle. Una volta portato a termine il nostro compito, veniamo separati dall’acqua prima che questa venga rinviata nel fiume: questo avviene in un’altra vasca, quella che vedete alle vostre spalle. La chiamano “vasca di decantazione”, perché lì “decantiamo”, cioè ci depositiamo sul fondo.
• Effettivamente – intervenne Gilberto – questo impianto è del tutto diverso dal primo che abbiamo attraversato! Qui l’acqua viene ripulita e riversata nel fiume, mentre là veniva trattata e inviata nei rubinetti.
Matteo lo interruppe:
• Bene, tutto ciò è fantastico, ma continuiamo a non sapere come fare per tornare a casa…

Per fortuna, a questo punto i batteri erano di ottimo umore e furono lieti di poter aiutare i bambini.
• Se volete tornare a casa è semplicissimo: attraversate l’impianto di depurazione e arriverete ad una grande griglia dove confluisce tutta l’acqua usata. Quella griglia serve a trattenere i detriti più grossi, prima di procedere ai trattamenti più fini. L’acqua viene condotta a questa griglia attraverso due grossi tubi chiamati “collettori”: da uno esce dell’acqua, dall’altro oggi non dovrebbe uscire niente.
• Un tubo che non serve a niente? Ma che cretinata!
• Non ho detto che non serve a niente – ribatté il capo – questo collettore convoglia le acque piovane, cioè quelle che scorrono lungo i tetti e le carreggiate stradali, che vengono separate dalle altre acque usate. Dato che è da ieri che non piove, il tubo è asciutto. Questa doppia rete fognaria consente di ridurre al minimo gli scarichi inquinanti quando piove. In passato, per le acque piovane e per quelle usate esisteva un’unica rete: in quel caso, però, le piogge più forti potevano far straripare l’impianto di depurazione e, per proteggerlo, gli esseri umani erano costretti a scaricare l’acqua delle fogne nel fiume senza trattarla.
• Bleah – fece Matteo sottovoce – povero luccio!
• Ciò produceva inquinamento. Ora invece non si corrono più questi rischi perché, in caso di forti piogge, viene scaricata direttamente nel fiume solo l’acqua che scorre nelle strade e non le acque usate. Dal punto di vista della protezione dell’ambiente acquatico è un grande progresso – concluse il capo dei batteri, molto fiero di sé.

Dopo aver salutato i valorosi batteri, i bambini attraversarono l’impianto e si avvicinarono alla griglia. Al di sopra del collettore asciutto si poteva leggere questa scritta: “Collettore delle acque piovane del quartiere di Sopra”.
• Ragazzi, il quartiere di Sopra è il nostro! Non c’è un momento da perdere – annunciò Enrico, che aveva notato che la luce delle stelle si affievoliva sempre più – Questo è il tubo che ci riporterà a casa. Seguitemi…a meno che non preferiate sperimentare il tubo che scarica, sguazzando nelle acque usate… –
Nessuno ebbe da obiettare. Il ritorno fu rapido e privo di complicazioni. Grazie al debole chiarore luminoso, il tubo guidò i bambini nel labirinto sotterraneo finché giunsero a un tubo di zinco verticale. In cima al tubo si vedeva albeggiare, mentre le stelle erano quasi scomparse.
• Siamo all’interno di una grondaia! – disse Enrico – Sbrighiamoci a salire lassù, troveremo sicuramente il modo per raggiungere il balcone.
I tre bambini fecero del loro meglio per arrampicarsi il più in fretta possibile dentro a quel tubo scivoloso.
Quando sbucarono all’aria aperta, scoprirono di trovarsi sul tetto della casa di Gilberto e Matteo.

Nel momento esatto in cui si lasciarono scivolare sul balcone, il sole spuntò all’orizzonte.
Si sentì cantare un gallo in lontananza e, guardandosi i piedi, i bambini si accorsero di aver recuperato le loro dimensioni normali.
• Evviva! Siamo riusciti a tornare a casa! Esclamarono.
Prima di lasciare il balcone, Gilberto, Enrico e Matteo alzarono per l’ultima volta gli occhi al cielo per ringraziare le stelle di aver esaudito il loro desiderio.
In alto, sopra di loro, ebbero l’impressione di vedere Arcibaldo, il fantasma, che faceva l’occhiolino, sussurrando:
• E soprattutto sbrigatevi a chiudere quel rubinetto che avete lasciato sgocciolare in cucina! L’acqua potabile è talmente preziosa che non va assolutamente sprecata.

fiume

Fausto Cosentino, autore di riduzione e adattamento del testo