L’arte secondo le donne.
Vetrine di libertà a Milano

Vetrine di libertà
Valentina Berardinone, Cartella di grafiche, 1975

Presso la Fabbrica del vapore, si può visitare “Vetrine di libertà. La Libreria delle donne di Milano ieri, oggi“, una mostra che raccoglie le opere di artiste che hanno collaborato con la Libreria, esponendovi le proprie opere.

Fin dalla sua nascita, la Libreria delle donne ha voluto dare ampio spazio e visibilità alla dimensione dell’arte femminile, come peculiare punto di vista sul mondo. Lo ha fatto in nome di una differenza che, a partire dagli anni Sessanta, diventando orgogliosamente consapevole, è stata sempre più rivendicata come il necessario arricchimento della plurivocità che sempre dovrebbe raccontare la realtà. In questo modo, con l’intenzione anche di determinarla.
La Libreria delle donne è nata nel 1975 potendo contare sul sostegno economico di artiste che hanno donato alcune proprie opere per costituirla, come Carla Accardi, Valentina Berardinone, Nilde Carabba, Dadamaino e Lucia Pescador.
E da allora la dimensione dell’arte femminile è stata una delle componenti fondanti della pratica quotidiana della Libreria. A partire dall’ideazione di una cartella di grafiche con la cura e l’accompagnamento dei testi di Lea Vergine alla quale hanno partecipato Carla Accardi, Mirella Bentivoglio, Valentina Berardinone, Nilde Carabba, Tomaso Binga, Dadamaino, Amalia Del Ponte, Grazia Varisco, Nanda Vigo. In seguito, con lo spostamento della Libreria dalla storica sede di via Dogana 2 all’attuale di via Pietro Calvi 29, è stato ideato il programma espositivo della “quarta vetrina”.
“Poiché aperture e vetrine della nuova sede erano quattro – racconta l’architetto Corrado Levi, che con la collega Stefania Giannoti l’ha progettata – ne dedicai una all’arte che chiamai ‘Quarta vetrina’ rifacendomi al film ‘Quarto potere’, ché in effetti il lavoro delle femministe e dei gruppi omosessuali di cui ero parte attiva stavano cambiando, con l’autocoscienza, il quadro e i poteri. Per un anno curai le mostre nella ‘Quarta vetrina’ di artiste affermate ed emergenti.”
Il progetto è stato in seguito affidato a Donatella Franchi e, negli ultimi tre anni, a Francesca Pasini, che è anche la curatrice di questa mostra. Fino ad oggi sono state trenta le artiste che si sono avvicendate, inventando il senso di questo originale spazio espositivo, che si inserisce nel panorama cittadino, prestandosi ad una fruizione quotidiana e continua.

‘Vetrine di libertà’ si propone di dare testimonianza dell’intero progetto, che si è articolato negli anni, con regolare cadenza mensile, consentendone oggi una fruizione in uno spazio unico e in un momento individuato, come occasione di dialogo fra opere, punti di vista, tecniche e visioni. Un dialogo corale all’insegna della libertà.

Quaranta le artiste contemporanee, note a livello nazionale ed internazionale, che partecipano a questa mostra. Sono Carla Accardi, Paola Anziché, Marina Ballo Charmet, Mirella Bentivoglio, Valentina Berardinone, Tomaso Binga, Enrica Borghi, Alessandra Caccia, Chiara Camoni, Nilde Carabba, Alice Cattaneo, Vittoria Chierici, Gabriella Ciancimino, Dadamaino, Marta Dell’Angelo, Amalia Del Ponte, Paola Di Bello, Elisabetta Di Maggio, Elena El Asmar, Bruna Esposito, Stefania Galegati, Goldschmied e Chiari, Sophie Ko, Christiane Löhr, Loredana Longo, Claudia Losi e Sabrina Mezzaqui, Paola Mattioli, Marzia Migliora, Concetta Modica, Maria Morganti, Margherita Morgantin, Ina Otzko, Maria Papadimitriou, Angela Passarello, Annie Ratti, Caterina Saban, Elisa Sighicelli, Eugenia Vanni, Grazia Varisco, Nanda Vigo, Tori Wranes.

La mostra sarà accompagnata da una serie di incontri culturali e di carattere sociale. Tra questi ricordiamo l’intervento, il prossimo 2 maggio, di Vandana Shiva, Presidente di Navdanya International – Onlus, che terrà una conferenza sulla “cultura del cibo come salute” e sull’”ecofemminismo”, quale una delle risposte chiave alla crisi ecologica e al caos climatico.

MEMO pubblica l’Introduzione al catalogo della mostra “Vetrina di libertà”, a cura di Francesca Pasini.

 

UN CHICCO VIVENTE

di Francesca Pasini

Vetrine di libertà

Paola di Bello, Ora e qui via Dogana, 2017

Quando a fine giugno 2015 Lia Cigarini mi ha proposto di curare la “Quarta Vetrina”, l’ho subito immaginata come una finestra accesa che nella notte tiene compagnia, crea confidenza. Ho programmato una sequenza, più o meno mensile, da fine settembre a luglio, in modo che, anche quando la Libreria va in vacanza, ci sia un’opera che tiene compagnia a chi passa in via Pietro Calvi. Qualche anno fa avevo progettato delle proiezioni dal tramonto all’alba su un muro di una città: ora potevo sperimentare quell’idea mettendo in vetrina, giorno e notte, le immagini di tante artiste che hanno accompagnato la mia lettura dell’arte.

La Libreria delle donne di Milano è il luogo naturale dove rendere visibile il superamento del neutro maschile col quale è stata definita la specie: gli uomini, gli artisti. Nell’arte visiva è resistito più a lungo, ma dalla metà degli anni ’90 del secolo scorso la presenza tumultuosa di artiste ha reso evidente che l’arte è fatta da uomini o donne. Ci tengo a sottolineare “o”, perché è una dizione semplice per nominare la differenza tra i due.
L’inaugurazione consiste in un incontro tra me, l’artista e il pubblico, come succede sempre in Libreria. Si scambiano domande, emozioni, idee. E’ un’occasione preziosa e un passaggio critico importante, perché non è facile confrontare quello che proviamo davanti a un’opera insieme ad altre, altri, all’artista, a chi la interpreta. Non è, infatti, un oggetto fuori dal comune, ma un
soggetto messo al mondo da donne o uomini, davanti al quale si è soli perché dipende da chi osserva entrare in rapporto. L’opera rimane sempre identica, però si modifica in base a ciò che riceve da chi la guarda, che a sua volta si modifica in base a ciò che ha vissuto. E’ un’esperienza più ampia di quella personale.

Quando guardo l’opera di un uomo, io rimango una donna e viceversa, ma si produce un movimento mentale, emotivo che mi trasporta in un luogo terzo dove condivido la mia soggettività, quella dell’opera, quella di chi l’ha creata. La relazione con l’altro diventa centrale nel processo di comprensione.
Anche quando non so chi l’ha creata, ad esempio nei manufatti antichi, sono chiamata a confrontare la mia soggettività con quella dell’opera. Lo studio del contesto non attutisce la “scossa dei nervi” che provoca un quadro, come dice Virginia Woolf in “Al Faro”. Dalla visione e da quello che io le attribuisco, da un lato imparo qualcosa dell’uomo o della donna che l’ha creata, dall’altro affiorano ricordi, percezioni che riguardano la conoscenza di me. Non a caso ognuno vede cose diverse nello stesso dipinto, film, romanzo.

Vetrine di libertà

Maria Papadimitriou, L’Enigma e la Sfinge, 2016

L’arte non è universale perché supera la differenza, ma perché la rappresenta attraverso l’ineliminabile movimento tra chi crea e chi guarda. Forse nell’arte visiva è più esplicito perché la parentela tra corpo biologico e artistico è fisicamente visibile.
Da ottobre 2015 a gennaio 2019 si sono avvicendate trenta artiste. Con ognuna – per sostenere il progetto – abbiamo prodotto un multiplo in 10 esemplari, accompagnato dal mio testo critico, pubblicato in catalogo. Durante queste trenta vetrine si è creato un accumulo di visioni, che di volta in volta ha aperto il luogo terzo dello scambio intersoggettivo. La mente interpreta, la conoscenza emotiva elabora, la memoria registra, ma non è stabile. Tende a fluire. Lontan dagli occhi lontan dal cuore? Non credo.
Intenzionalmente non si dimenticano mai quadri, romanzi, film, saggi: sono un patrimonio “genetico” assimilato dalle fibre biografiche della specie. Un’essenza vivente che dona un conforto di eternità. L’arte, pur essendo mortale, si ripresenta e rende accettabile l’idea di una durata illimitata, non divina. Nonostante distruzioni e cataclismi, c’è un “chicco vivente”, intatto che, affiorando da quest’accumulo, fa provare il brivido dell’eternità materiale. La vera attrazione sta nel farsi guidare da questo “chicco vivente” sia nel passato che nel presente. È un’estensione del soggetto che vive nell’opera, e potrebbe spiegare il significato soprannaturale talvolta attribuito all’arte.

Luisa Muraro in una lezione sul pensiero di Simone Weil ha parlato di “un chicco divino”. Mi ha fatto intuire che nell’arte si tratta di un “chicco vivente”, che può connetterci al mondo in cui siamo immersi, più che a una fede.
Emanuele Coccia, ne “La vita delle piante” (2018), afferma che da secoli la filosofia ha “smesso di contemplare la natura, mentre le scienze dette “naturali” l’hanno ridotta per sempre a oggetto opposizionale, incapace di occupare il posto di soggetto. Ogni conoscenza cosmica è un punto di vita e non solo di vista. Non si potrà mai conoscere il mondo in quanto tale, senza passare per la mediazione di un vivente”(p. 31). “La fluidità non è una fase di aggregazione della materia: è il modo in cui si costituisce il mondo nel vivente”(p.44).
Coincidenze che mi fanno interpretare l’accumulo di soggettività prodotto dall’osservazione dell’arte come “un chicco vivente” riscontrabile nelle relazioni psichiche, intellettuali, affettive di uomini e donne: anch’esse materia del mondo.

Nel pensare a una mostra che raccontasse il progetto “Quarta Vetrina”, ideato da Corrado Levi e seguito poi da Donatella Franchi, ho voluto “esporre” anche la pratica intellettuale e politica che costituisce la materia con cui è stata costruita la Libreria dal 1975 a oggi.
Ci saranno tanti incontri, dal lavoro, alla scienza, alla politica, alla letteratura, all’ambiente, all’arte, che testimoniano la libertà delle donne. Ci sarà un bookshop gemello di quello di via Pietro Calvi e dei momenti conviviali curati da “Cucina di Estia”.
Un programma realizzato in Libreria da Ida Farè. Unendo le relazioni politiche, intellettuali, effettive al cibo, ha inventato un’opera d’arte immateriale, in cui riecheggia “Osare pensare la città femmina”, il corso da lei tenuto al Politecnico di Milano, e il chicco vivente nella cura del quotidiano.
A Ida Farè è dedicata questa mostra.