Dici uguaglianza di genere, leggi sostenibilità

Spesso leggiamo o sentiamo dire che “la sostenibilità è donna”, una affermazione che alle volte sembra un claim, altre una petizione di principio, altre ancora un auspicio. In un mondo in cui la parità di genere rappresenta un problema strutturale che attraversa popoli e culture, e per vedere realizzata l’uguaglianza tra i sessi a livello globale sembra non bastino cinque generazioni (quasi 132 anni secondo il Global Gender Gap Report del World Economic Forum), con la pandemia ad aggravare ancora la situazione, il rapporto tra questione femminile e sviluppo sostenibile sul piano ambientale, sociale ed economico si presta a molteplici letture. Fin dalle origini della idea stessa di sostenibilità.
Innanzi tutto, quando si parla di sistemi agroalimentari, lungo tutta la filiera dalla produzione, alla distribuzione fino alle scelte e possibilità di consumo, il recente rapporto FAO “The status of women in agrifood systems” ha messo in evidenza come il gender gap costituisca un vero e proprio problema di sopravvivenza. Il ruolo attivo della donna nel settore primario potrebbe infatti salvare dall’insicurezza alimentare ben 45 milioni di persone e generare ricchezza per oltre 1000 miliardi di dollari.
Colmare il divario salariale (meno 18% a parità di mansioni), ma anche garantire una equità di trattamento, un pari accesso al credito e una uguale sicurezza della proprietà terriera, soprattutto piccola e diffusa – tutti fattori che vedono la donna in posizione di sudditanza, informalità e precarietà – rappresentano azioni decisive nel contrasto alla fame e alla povertà alimentare a livello globale, oltre a promuovere e tutelare il patrimonio socio-economico e culturale delle comunità. Se il 50% dei piccoli produttori beneficiasse di questo tipo di iniziative, si osserverebbe un significativo miglioramento del reddito per altri 58 milioni di persone, con una ricaduta positiva per 235 milioni di individui.
Facendo un passo indietro, e guardando all’elaborazione dell’idea di sviluppo sostenibile, si vede come questa attinga alla concezione femminile della rigenerazione, della fertilità, del nutrire, del dare e proteggere la vita che è dell’individuo, del gruppo famigliare, del gruppo e, via via allargando lo sguardo, dell’intero pianeta.
La prima definizione di sostenibilità si deve ad una donna: la politica norvegese Gro Harlem Brundtland, autrice nel 1987 di quel Rapporto Brundtland, dal titolo Our common future (Il futuro di tutti noi), che, mettendo in relazione l’analisi dei problemi ambientali con il divario tra sud e nord del mondo, ha evidenziato per la prima volta la necessità di una strategia capace di integrare le esigenze della crescita economica, dell’equità nella distribuzione delle risorse e della tutela dell’ambiente, chiamandola appunto “sustainable development”.
“Lo sviluppo sostenibile è quello sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”, scriveva Bruntland, e questa ancora oggi rimane la definizione che incardina tutte le riflessioni e i successivi programmi di politica economica, fondati sulla consapevolezza che l’equilibrio ecologico delle attività dell’uomo è saltato, perché il ritmo di consumo e produzione si è sganciato dalla capacità biologica di rigenerazione del Pianeta. È dall’inizio degli anni Settanta che si calcola l’Earth Overshoot Day, ossia il giorno in cui esauriamo le risorse biodisponibili ogni anno, e la prima a ravvedere la necessità di una elaborazione che unisse le dimensioni ambientale economica e sociale dello sviluppo è stata, alla fine degli anni Ottanta, la politica norvegese, nel suo ruolo di presidente della Commissione mondiale su Ambiente e Sviluppo.
Allo stesso modo, sempre a una donna si deve la prima definizione sistematica di economia circolare, che pure è un approccio elaborato a partire dagli anni Settanta dall’architetto svizzero Walter R. Stahel: nel 2010 la velista inglese Ellen MacArthur ha creato infatti una organizzazione non profit internazionale, la Ellen MacArthur Foundation, proprio con lo scopo di promuovere e favorire la transizione verso un’economia circolare, basata sul superamento del modello economico lineare del produci-consuma-butta via (che si tratti di merci, lavoro e vite umane), e fondata sul principio del contrasto allo spreco, del riuso, recupero e riciclo fin quando è possibile. Un paradigma economico radicalmente alternativo al quale oggi si intrecciano le speranze di una inversione di rotta, in primo luogo culturale, capace di portarci fuori dalle secche di una politica dell’emergenza continua legata a crisi che di volta in volta sono ecologiche, economiche, sanitarie, internazionali.
Del resto, tutte le ricerche condotte negli ultimi anni lo confermano: il mondo femminile è più incline al recupero, al riciclo e all’acquisto di prodotti che garantiscono un maggiore rispetto dell’ambiente e la tutela dei diritti di chi li produce; è più favorevole a sostenere le comunità locali e più informato circa metodi produttivi, tracciabilità delle filiere e risparmio di materia e di energia (UNDP e Università di Oxford, 2021). L’ultima rilevazione Eurispes (2022) ha ribadito la maggiore consapevolezza da parte delle donne circa i pericoli dei cambiamenti climatici, a cui peraltro risultano più esposte. Quando riescono a raggiungere ruoli di leadership, per l’abbattimento di quel “soffitto di cristallo” che limita l’accesso femminile ai ruoli decisionali, i risultati concreti nel campo della sostenibilità non si fanno aspettare, così come lo spostamento degli obiettivi verso traguardi sempre più ambiziosi. La presenza di una forte componente femminile nella composizione dell’assemblea legislativa, per esempio, è fattore determinate per il concreto perseguimento degli SDGs dell’Agenda di Parigi e, addirittura, favorisce una copertura forestale pro capite più elevata (Salahodjaev e Jarilkapova, 2020).
E se sul piano della produzione di ricchezza, a ogni aumento del 10% della rappresentanza femminile in parlamento corrisponde un aumento dello 0,74% della crescita del PIL, a livello delle singole realtà produttive l’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha verificato che le aziende con un’autentica diversità di genere, in particolare a livello senior, hanno l’8,9% in più di probabilità di ottenere risultati aziendali migliori.
Crescita economica, sociale e culturale, sicurezza alimentare, tutela dell’ambiente e dei diritti: scrivi uguaglianza di genere e puoi leggere sostenibilità. Per tutti.