Parco Ottocento Verona. La campagna del centro, sul modello di una Smart Land

Parco Ottocento

Abbiamo fatto una promessa ai nostri figli, di lasciare loro un mondo migliore, nel contempo abbiamo visto che l’urbanistica deve fare passi avanti, evolversi, se vogliamo lasciare eredità, che non sia più disposizioni calate dall’alto, ma seguire nuovi modelli di città dove per esempio venga permesso a tutti di godere di uno spazio nella natura vicino a casa, un luogo dove coltivare cittadini, dare alle persone una pennellata di verde, la possibilità di incontrarsi, di ritrovarsi, di agire per la comunità, di stare bene; un luogo dove siano concretamente visibili e tangibili alcuni obiettivi dell’Agenda 2030 per contribuire al Green Deal in una Città 2050 che sia modello di sostenibilità e qualità della vita (valori BES) perché la grande sfida del futuro saranno le città, e il territorio rurale che le circonda, in un nuovo patto tra città e campagna.

Così dal 2018 a Verona, è attivo un laboratorio urbano in un’area verde privata di oltre 100.000 mq quello che oggi si chiama Parco Ottocento, la campagna del centro. Parco Ottocento sorge in una zona che lambisce la città, accarezzata dal fiume da un lato e dal quartiere Chievo dall’altra, un tempo era una vasta foresta, il Bosco del Mantico, ovvero dell’Indovino (Mantis in greco), luogo abitato da un oracolo; poi divenne proprietà dei Benedettini, poi ancora dei Domenicani e infine degli Scaligeri. Nel tempo il bosco fu ridotto sempre più per dare spazio ai pascoli e alle coltivazioni agricole fino a diventare zona militare fino alla prima guerra mondiale. Poi passò a privati e fu abbandonato a se stesso, diventando luogo di discarica.

Al suo interno si trova il Forte austriaco detto “Parona” o Forte Albrecht. Una fortificazione unica nel suo genere per la simmetrica disposizione ottagonale, che nel corso della Seconda Guerra Mondiale, venne colpita da un bombardamento aereo alleato esplodendo e lasciando ciò che oggi vediamo, ossia i resti del terrapieno e del fossato. Basta scavare appena sotto la superficie che ecco spuntare le sue mura, ritrovare frammenti di vita sepolti da anni, locali segreti e immaginare storie e persone che lì hanno vissuto, sognato, compiuto gesti eroici, un luogo perso nel tempo dove vita e amori sono rimasti indelebilmente fissati tra le sue pareti, e che oggi si vogliono fare riemergere.

Parco Ottocento confina anche con l’area del piccolo aeroporto di Boscomantico che un tempo fu luogo dove si alzavano in cielo i dirigibili, anch’esso con un potere di narrazione unico.

Parco Ottocento

Nel 2018 venti soci privati hanno acquistato da altri privati l’area diventata campo rom da una parte e discarica a cielo aperto dall’altra, un parte di territorio abbandonato dentro la città: si sono guardati tra loro e si sono detti che non poteva restare così, ognuno ha messo danari, braccia, testa e cuore e lo hanno ripulito nelle domeniche libere per aprirlo al pubblico, agli abitanti, cercando di inventare qualche attività per renderlo vivo. Un esempio di quella partecipazione dal basso che nasce solo dal senso di consapevolezza: abitanti che si sono messe in gioco, in tutti i sensi, sono già una piccola comunità, una “piccola patria” di olivettiana memoria.

Dal 2022 si è voluti andare oltre, costruire un progetto di valorizzazione vero e proprio, attraverso la sussidiarietà e la progettazione partecipata: oggi all’interno dell’area c’è un piccolo maneggio, una piccola fattoria, accogliendo animali che sono stati abbandonati, una zona ristoro al coperto per eventi, un’area nel verde per i bambini ed un’altra per picnic. Piano piano si stanno sviluppando altre aree soprattutto il recupero del Forte austriaco con il ridotto per musica all’aperto, un’area di salvaguardia per gli uccelli e le essenze arboree, come la possibilità in futuro di pernottare nel verde a contatto con la natura in maniera sostenibile.

Il messaggio che questa impresa lancia è che il progetto partecipato di salvaguardia e tutela della natura che disegna la città deve essere opera condivisa tra abitanti, associazioni ed enti, nuovi architetti di questa costruzione identitaria collettiva che apre la via a modelli nuovi di responsabilità e gestione del bene comune.

Credere nel concetto di Paesaggio come progetto collettivo, come stato d’animo, luogo per coltivare un benessere che deriva dal rapporto uomo/natura in una relazione che si costruisce e abita il territorio come cura di sé e degli altri, come comunità; così al di là della azioni materiche progettuali sul paesaggio, si possono e si devono mettere in atto “azioni immateriali” per incentivare un alfabetismo paesaggistico che sviluppi attività creative autonome negli abitanti per una migliore qualità della vita, in una responsabilità di gestione condivisa e di salvaguardia dell’habitat naturale come identitario, tanto da vedere nei grandi spazi verdi che circondano ad esempio la città di Verona (un sistema grandi “Parchi verdi” da mettere in rete in un’unica visione, come da Green Deal) le “Porte naturali” alla città, luoghi naturali che si inseriscono nel sistema difensivo architettonico e storico della città scaligera.

Parco Ottocento

Parco Ottocento è “porta naturale” della città di Verona, quest’ultima è caratterizzata da un’antica cinta muraria che, insieme ai bastioni, segna lo spazio periurbano costruito da sempre in relazione con il paesaggio ed il contesto ambientale antropizzato e non della città in una relazione antica e identitaria che vuole essere ripresa sinergica tra campagna e città. Non solo, Parco Ottocento avendo al suo interno Forte Albrecht si configura doppiamente “Porta urbana”.

Parco Ottocento vuole diventare “La campagna del centro”, ovvero di tutti gli abitanti, di tutti i quartieri, con un particolare legame con il centro storico (siamo a 5 km in linea d’aria da piazza Brà): offrire uno spazio verde nella natura, dentro la città, legandola a tutte le altre parti che la compongono. Parco Ottocento, una “Smart Land”: un ambito territoriale nel quale, attraverso politiche diffuse e condivise, si aumentano la competitività e l’attrattività del territorio, con una attenzione particolare alla coesione sociale, alla diffusione della conoscenza, alla crescita creativa, all’accessibilità e alla libertà di movimento, alla fruibilità dell’ambiente (naturale, storico-architettonico, urbano e diffuso) e alla qualità del paesaggio e della vita dei cittadini.

Non più solo una sfida, ma una possibilità concreta.