Erica Portunato: la fotografia? Mi serve per immortalare le mie metamorfosi

Erica Portunato, giovane fotografa spezzina, classe 1990 è da sempre appassionata all’arte. Abituata fin da bambina a frequentare musei, gallerie, chiese, castelli e siti archeologici con la sua famiglia, sceglierà con naturale spontaneità lo studio di pittura, scenografia e grafica nel suo percorso liceale e universitario.
Nel 1998 un regalo del nonno, la prima macchina fotografica analogica, scatena la curiosità verso questo mondo che, successivamente, la travolgerà completamente.
Erica inizia con l’intenzione di catturare i suoi momenti di “Vita Intima”, i viaggi, i concerti, la danza. Oggi, invece, ama sperimentare la fotografia unendo e plasmando le sue diverse ricerche artistiche.  Al suo attivo vi sono attualmente due progetti fotografici “Guardami tu…che io non posso”, fotografie di ritratti con successiva lavorazione analogica con acquarello, china e lapis e “MétaVolto”, ritratti in doppia esposizione con paesaggi di montagna. Negli anni Erica ha partecipato a diversi concorsi e mostre locali e da Febbraio 2016 collabora con il Collettivo Agorà per confrontarsi e apprendere da giovani artisti come lei.
Conosciamola meglio attraverso il questionario “IO SONO CULTURA” di MEMO e scopriamo cosa si nasconde dietro un suo scatto ricco di sperimentazione e accurata ricerca.

Che cos’è per te la fotografia?
La fotografia è quel momento in cui le arti possono convivere senza litigare (pittura, grafica e fotografia) e io posso sperimentare costruendo qualcosa di nuovo da aggiungere al mondo.
Talvolta è la macchina che ti conduce ed è un susseguirsi di casualità di scatti, ne risultano immagini enigmatiche che suscitano domande.
La fotografia mi permette di immortalare le mie metamorfosi. Gli autoscatti testimoniano i cambiamenti di sé e ti conosci guardandoti da spettatore.

Un aggettivo per l’arte della fotografia
Intima

La migliore definizione di fotografia che hai letto
Per me la fotografia deve suggerire, non insistere o spiegare. Brassai (Gyula Halász)

Che cosa significa guardare il mondo attraverso l’obiettivo della tua camera?
La sensazione è quella di guardare senza essere visti, la macchina ti protegge mentre in realtà tu ti esponi nel mondo.
Guardi e sebbene tutto si esaurisce nell’attimo dello scatto riesci a riflettere e a cogliere dettagli che a viso scoperto non vedresti. È l’inizio. Fermi un momento, un volto, il mio volto e poi vai… costruisci, inventi, ti evolvi.

La foto che vuoi assolutamente fare, quella che non vorresti mai fare
Non ho un’idea precisa di ciò che farò. Penso che continuerò a seguire l’istinto: una fotografia suscitata da “cuore” e “pancia”. Non vorrei fare fotografie “costrette”, obbligate, forzate. Non inizio mai un progetto pensandoci prima, nasce tutto in maniera naturale e inaspettata

L’artista che più ti ha ispirato
Sarei bugiarda se dicessi un nome, identificando in qualcuno la fonte di ispirazione. Posso dire che sono in costante ricerca e che il web mi aiuta molto nel cercare forme e stili differenti di arte e fotografia. Attualmente mi sento in sintonia prevalentemente con l’artista Francesca Woodman. “Il mondo dell’arte ti dimentica se vai via per cinque minuti” scriveva Francesca. Ed ecco allora che le sue trame fotografiche riportano di continuo l’io nell’inquadratura come a voler ribadire una presenza. L’autoritratto non è una concessione al narcisismo, non una carezza all’ ego, non vuole assecondare la vanità. Vuole piuttosto affermare: diventando la protagonista dei suoi scatti Francesca prova a conoscersi. Il rimanere (presenziare) sulla scena è il bisogno di cogliersi per non vedersi cancellata, di afferrare la propria nudità con lo sguardo per non vederla sbiadire.

L’immagine in cui vorresti vivere
Vorrei vivere nelle serie fotografiche di un artista che più di altri è riuscito a cogliere l’alienazione e il senso di irrealtà che irrompono nel quotidiano, Gregory Crewdson. Amo immensamente la serie “Fireflies”.

Ritratto, arte e tecnica fotografica: cosa lega assieme questi tre elementi
Il ritratto è il tratto psicologico, la verità più profonda di una persona che da anonima per molti, diventa “personaggio”, soggetto con una personalità. Quando anche il pensiero, l’emozione, l’intento del fotografo sono impressi nell’immagine ritratta, allora abbiamo la fotografia d’arte. Il fotografo sceglie il soggetto, lo mette nelle condizioni di esprimere ciò che lui ha già “previsto” di cogliere e fissare con lo scatto. Diventa il regista della scena.
La tecnica è ciò che permette di approssimare l’immagine che si produrrà all’immagine che si è creata nell’occhio di colui che l’ha registrata. La pianificazione tecnica è ciò che rende possibile raggiungere il risultato “previsto” (sia ritratto in posa, agito, narrato, rubato, in luce d’ambiente…).

(Questionario a cura di Daria Podestà)