Ma dove vai? Bellezze in bicicletta.
Fra street art e murales

“La fatica in montagna per me è poesia”. Così Marco Pantani, con il volto rigato dal sudore, l’inseparabile orecchino al lobo e la bandana da pirata, rispondeva a chi gli domandava cosa volesse dire per lui pedalare in salita, quando il corpo vuole cedere ma anima e cuore continuano a spingere, macinando un doloroso chilometro dopo l’altro. Un dolore che si tramuta in gioia quando, nel bel mezzo di una gara, ci rendiamo conto all’improvviso che siamo lì, siamo vivi e stiamo respirando l’aria pura di un territorio nuovo, ricco di arte, storia, gusto, mestieri e tradizioni.

“Ciclabili e cammini per narrare territori”, il nuovo libro di Ediciclo Editore, parte da una domanda: e se fosse il territorio stesso a raccontarsi? Se le ciclabili potessero parlare, cosa ci direbbero?

Questo libro è un megafono poggiato sulla calda terra battuta di tutte le strade, i sentieri, le mulattiere, le vie del nostro territorio, che come fili sottili formano il tessuto del patrimonio culturale e paesaggistico internazionale. Street art, installazioni sperimentali e suggestioni sparse per il mondo diventano simboli di un nuovo linguaggio globale, capace di rendere parlanti ciclabili e cammini. Perché la linea tratteggiata di una pista altro non è che un filo teso fra metropoli e territori fragili, borghi e periferie, arte e design.

Sta a noi tirare quel filo e cucire insieme il nostro mondo: un mondo pieno di bellezza.

Ediciclo ha fatto propria questa simbiosi fra territorio, bicicletta e poesia fin dall’anno della fondazione, il 1987, quando un gruppo di amici si è spinto in sella sullo Stelvio e poi, poggiato alle fidate biciclette, ha deciso che, da quel momento, avrebbe fatto questo. Vivere emozioni e raccontarle sulla carta, aiutando altri a realizzare il proprio desiderio di scoperta.

(Alice Bassi)

Per gentile concessione dell’editore, MEMO pubblica un estratto di “Ciclabili e cammini per narrare territori”.

 

Filo narrativo, progetto di territorio

di Paolo Pileri

Da sempre, e non solo in Italia, cammini e ciclabili sono assimilati alle infrastrutture stradali. Da esse mutuano, ridimensionandole, geometrie, manufatti, uso dei materiali e dispositivi di segnalazione. Non è inusuale che i codici stradali li trattino come mini strade o mini autostrade. Ma è proprio questo che ciclabili e cammini non sono. Innanzitutto perché, anche se nascono per congiungere due luoghi, da sempre e inevitabilmente il tipo di movimento che accade là sopra produce mutua relazione tra chi si muove e ciò che è intorno. La lentezza lavora come una lente (e il gioco di parole non è casuale) che rende possibile percepire anche le piccole sfumature del mondo che si attraversa e che formano il lungo e cangiante racconto di territorio. Questa è l’intima differenza tra quelle che potremmo chiamare linee veloci e linee lente: queste ultime sono narrative. Una differenza sostanziale di cui politici, pianificatori e progettisti devono non solo avere piena consapevolezza, ma anche trattare adeguatamente mettendo a punto attenzioni, norme e dispositivi progettuali totalmente diversi.

Nelle pagine di questo libro vedremo alcuni esempi che, lavorando con elementi simbolici, hanno provato a catturare l’attenzione del passante comunicandogli che là accade qualcosa o che vi è una storia che vale la pena conoscere o un’emozione che qualcuno ha la bontà di regalare a chi passa, fissando una relazione affettiva tra abitanti e passanti. Spiegando che si tratta di luoghi e non di spazi. Queste sperimentazioni, a vederle bene, anche nella loro diversità, ci suggeriscono un nuovo campo progettuale che potrebbe misurarsi proprio con ciclabili e sentieri, esaltandone l’innata vocazione narratrice. D’altronde, come ci ricorda Rebecca Solnit, un sentiero può essere “una delle principali interpretazioni del modo migliore per attraversare un paesaggio, e seguire un itinerario significa accogliere un’interpretazione”.

 

“Ciclabili e cammini per narrare territori” (Ediciclo Editore)