Le tante storie di un romanzo

Ci sono le storie. Poi ci sono le #altrestorie. Gianrico Carofiglio fa preparare al suo personaggio il caffè. Nella miscela aggiunge un po’ di cacao. La descrizione della ricetta è precisa, minuziosa, dettagliata. Sentite persino l’aroma di caffè al cioccolato che si diffonde nella stanza. E cosa dire della ricetta degli arancini di Montalbano di Camilleri? Ricordate Furore, quando Steinbeck descrive con precisione le sensazioni che si provano guardando le stelle mentre si è sbronzi? Lo capite anche da astemi come funziona. Oppure Erri De Luca, che racconta in venti righe il significato più profondo del sentimento di amore che lega l’uomo alla montagna. Quante piccole e grandi storie ci sono dentro la storia di un romanzo? Quante istruzioni per l’uso, ricette, descrizioni, consigli, canzoni, ritratti, luoghi, paesaggi, stati d’animo?

MEMO ha deciso di raccogliere le #altrestorie dei romanzi.

Magari però non le trovate subito. Spesso si nascondono. Per questo i libri si rileggono.

Immaginate di passeggiare per la città. E’ domenica mattina e voi siete appena stati al mercato. Nell’aria c’è odore di asfalto bagnato, di pesce, di verdure che iniziano a marcire. Dalle mani vi penzolano due sporte, ma non sono pesanti. Anzi, vi fa piacere passeggiare così, prima di pranzo, con il sole che vi scalda la testa. Poi, d’un tratto, vi ricordate che a casa non avete più pane. Dovete per forza fermarvi a comprarlo. Entrate in un panificio e lì vi avvolge la fragranza del pane caldo, fumante, appena cotto. Acquistate due baguette e tornate fuori, ma ora, con quell’involto tiepido sotto il braccio, non avete più voglia di risalire in casa. Non subito. Vi cercate una panchina, una non troppo bagnata, e vi sedete a sbocconcellare il pane. Piano, senza fretta, ne strappate piccoli pezzi con le dita, come non fate mai. Di solito, ingurgitate un paio di tramezzini cotto e pomodoro nei quindici minuti di pausa pranzo, molleggiando col piede per la fretta degli impegni del pomeriggio; ma ora non avete l’ansia di timbrare il cartellino, avete tempo, siete sereni. Perciò, masticate a lungo, socchiudendo gli occhi, assaporando il pane fino in fondo. Ed è allora che fate una scoperta sorprendente.

E cioè che il pane, se masticato a lungo e ammorbidito con la saliva, cambia completamente sapore. La crosta diventa più amara, mentre la mollica si liquefà in una crema zuccherina, che sa di innocenza e di infanzia. Se accanto a voi, su quella panchina, si sedesse un chimico, vi spiegherebbe che ciò avviene perché, nella vostra bocca, sono presenti degli enzimi che scindono i carboidrati complessi in semplici molecole di zucchero; ma accanto a voi non c’è un chimico. Non c’è nessuno, a parte la brezza e la sensazione di aver appena fatto una scoperta unica, di cui solo voi, in questo istante, custodite il segreto.

La verità è che anche i buoni libri, se degustati lentamente, possono rivelare sfumature di sapore inaspettate. Libri salati, piccanti, aciduli a una prima lettura si trasformano in qualcosa di diverso, se sottoposti a masticazione lenta.

Eppure, molti non lo fanno. Una volta chiuso un libro, lo riportano in biblioteca, o lo lasciano per sempre a prendere polvere nella libreria in salotto, pensando di aver estratto da quelle pagine tutto il sapore possibile. Di averle succhiate fino al midollo. E poi, si chiedono molti, perché riprendere in mano un romanzo, quando ho già così poco tempo da dedicare al piacere della lettura? E se, rileggendo un libro che conosco già, mi perdessi l’occasione di leggere il capolavoro dell’anno?

A rispondere è lo scrittore Giorgio Manganelli:

“Una civiltà letteraria non è fatta di letture, è fatta di riletture. Ci sono generazioni che hanno conseguito una dignità duratura leggendo e rileggendo un solo libro, la Bibbia. […] Il rileggere è un’alleanza discorde: insieme ritrovare, riconoscere e scoprire; trovare ciò che la lettura precedente, o anche più letture, non ci avevano rivelato. […] La prima lettura può anche essere un innamoramento; ma esistono delizie di amorosità mentale che si abbandonano solo dopo anni di solidarietà. […] Nel cuore del grande libro sta il nulla più prezioso, irripetibile. Per accedere a questo nucleo fatale, inafferrabile, in bilico squisito tra esistere e non esistere, occorre rileggere, camminare per strade che crediamo di conoscere.”

Senza contare il fatto che, rileggendo un libro, abbiamo anche l’occasione di scoprire un lato diverso di noi. Uno più maturo. Vi è mai capitato di riprendere in mano un racconto che avevate amato alla follia in gioventù, solo per trovarlo insulso? O, al contrario, di trovare un romanzo particolarmente saporito dopo che, solo pochi mesi prima, lo avevate scartato, magari perché non era il momento giusto per leggerlo?

Pensate che c’è chi dice che un libro vada letto almeno due volte, per farlo ruotare in tutti gli anfratti della bocca. In due sorsi, come un buon vino. Il primo lo buttiamo giù subito, per appagare un nostro bisogno irrefrenabile: quello di arrivare velocemente al finale, qualunque esso sia. Ma è la seconda sorsata che ci dà la vera occasione di assaporare quel “nucleo fatale”, e con esso anche tutte le sfumature di gusto che la nostra gola non è in grado di percepire. Ingredienti nascosti che l’autore aveva cucinato e presentato con cura tra un evento e l’altro, mettendoci forse più amore, e rivelandosi molto di più, che nell’architettura dell’intera trama.

Noi li abbiamo scovati per voi.

Nei prossimi giorni, su MEMO leggerete le tante #altrestorie dei libri.