Barry Feinstein.
La celebrità svelata
Fondazione Carispezia ospita, fino al 30 giugno, “Barry Feinstein. A Retrospective”, un viaggio nel cosmo del fotografo americano che, nell’arco di sessant’anni, ha raccontato come nessun altro l’epopea pubblica e privata dei grandi divi di Hollywood e dei più iconici musicisti rock e pop.
Per la prima volta in Italia, la lunga carriera del fotografo americano, nato a Philadelphia nel 1931 e scomparso a Woodstock nel 2011, viene presentata in 45 scatti che coprono i decenni che vanno dai primi anni ’50 fino alle porte degli anni ’80, con particolare attenzione agli anni ’60 e ’70.
Le fotografie della mostra, a cura di ONO Arte Contemporanea e The J. Blatt Agency LLC, sono state selezionate con l’aiuto di Judith Jamison, vedova di Feinstein, e hanno come protagonisti i più importanti nomi della cultura cinematografica e musicale dell’epoca: così, accanto a divi dello schermo come Marlene Dietrich, Marlon Brando, Marilyn Monroe e Steve McQueen troviamo icone della musica come Bob Dylan, Aretha Franklin, George Harrison, Janis Joplin e Eric Clapton.
“È bello essere additati e che si dica: è lui!”
(Aulo Persio)
LA CELEBRITÀ AI TEMPI DEI SOCIAL NETWORK
Negli anni in cui Barry Feinstein vive e lavora, si realizza appieno il rapporto tra fotografo e ‘star’, con il primo testimone dei momenti privati e pubblici del secondo. In un’ottica moderna, sono sempre più rari gli esempi di connubi artistici e umani simili. Lo starsystem – e anche la politica, fattasi oramai (avan)spettacolo – si autopromuove, raccontandosi senza filtri, sfruttando i social network e comunicando a colpi di selfie e dirette Facebook.
I personaggi famosi che si affacciano dagli schermi dei nostri smartphone e che sembrano essere amici o vicini di casa, sono, però, più distanti che mai: in quella che sembra totale trasparenza c’è una selezione quasi scientifica del cosa mostrare e cosa nascondere. Oggi, un intermediario sensibile ma onesto come Feinstein sarebbe inconcepibile.
I nostri vip (o autoproclamatisi tali) sono autoprodotti, cotti e mangiati, soprattutto privi di quella base culturalmente solida che ne dovrebbe garantire una credibilità capace di trascendere il proprio momento storico. Secondo Woody Allen, le celebrità sono, paradossalmente, uno specchio: il loro livello culturale e artistico restituisce, in una certa misura, il grado di sensibilità culturale e artistica della società stessa. Se è vero che siamo ciò che mangiamo, è altrettanto vero che siamo ciò che idolatriamo.
SUPERCELEBRITÀ CON SUPERPROBLEMI
Ecco perché, rispetto alla contemporaneità, la mostra di Feinstein rivela uno sguardo di ben altra sincerità. Quello che colpisce del mondo raccontato dalla mostra, infatti, è la capacità di muoversi in perfetto equilibrio tra pubblico e privato, tra ostentazioni esibizionistiche e private fragilità. La cronaca del fotografo di Philadelphia sembra così sposarsi con un’altra controrivoluzione pop di quegli anni: i supereroi con superproblemi creati da Stan Lee.
Come gli eroi dei fumetti svestono la loro invincibilità, mettendo in mostra ansie e preoccupazioni umanissime, così la narrativa di Barry Feinstein mette a nudo le star dal lui fotografate. La levatura artistica di attori, cantanti, musicisti non è un rifugio dai problemi terreni, così come non lo è la loro ricchezza o la vita sopra le righe. Non c’è compiacimento nelle 45 foto che si snodano negli spazi di Fondazione Carispezia ma, semmai, una cronaca a tratti divertita, a tratti dolente, di un macrocosmo complesso, autenticamente pop e profondamente connesso con la società.
A CELEBRITY REPORTER
Barry Feinstein è stato confessore di quella piccola parte di umanità adorata dalle masse e i suoi scatti ci parlano anche di lui, di un narratore estremamente raffinato. Nel dettaglio del flacone di farmaci con i quali Marilyn Monroe si tolse la vita, nella marcia di protesta di Marlon Brando, ci sono la ferocia e la sensibilità proprie più di un reporter di guerra che non di un semplice fotografo di vite patinate.
Certo non manca la narrazione di un mondo che era alla ricerca di svago e libertà, figlio del dopoguerra, testimone attivo del ’68 e partecipe della rivoluzione artistica della pop-art. Il mondo glitterato di Feinstein reclama a gran voce il suo spazio, abbattendo confini e ruoli predefiniti, proprio come gli scatti dedicati a Steve McQueen ci parlano di un uomo che non si limitava a essere ‘solo’ un attore, ma dedicava tempo e vita alla propria passione per i motori.
Testimonianze del momento storico e delle loro stesse comunità, come le foto di Aretha Franklin immortalata durante un gospel, o umanissime nel raccontare la fragilità di Robert Allen Zimmerman che, accartocciato nella sua stessa giacca, sembra aver dimenticato di essere Bob Dylan, le foto in mostra sono schegge che ci restituiscono un’epoca mutevole, inquieta, alla ricerca di sé stessa.
“La celebrità non è che l’espressione di una vasta allucinazione collettiva”.
(Charles Aznavour)
ICONE MODERNE
Gli scatti di Barry Feinstein sembrano così persino rimettere un certo ordine nel caos di quei decenni, soprattutto attraverso le sue produzioni fotografiche di copertine di album musicali. Intercettato e apprezzato dal cosiddetto gusto comune, Feinstein realizza, volontariamente o meno, la prima vasta opera mediatica di connubio tra musica e immagine, quasi ad anticipare i videoclip che avrebbero poi creato una commistione tanto forte da diventare simbolo generazionale.
Le copertine in mostra sono vere e proprie metonimie per immagini. Moltissimi hanno ascoltato Pearl di Janis Joplin, ma sono sicuramente in maggior numero quelli che conoscono la foto di copertina dell’album. E così per Beggars Banquet dei Rolling Stones, la cui immagine, scarna e provocatoria, è scolpita nella memoria prima ancora delle canzoni. E la stessa forza iconica si potrebbe riscontrare in tutte le oltre 500 copertine realizzate a partire da una fotografia di Feinstein, basti pensare a quella di The Times They Are a-Changin’ di Bob Dylan o a quella di All Things Must Pass di George Harrison.
Percorrere lo snodarsi della mostra promossa da Carispezia, accompagnata da un omonimo catalogo disponibile per la vendita, è come leggere le pagine di un diario. La testimonianza tradotta in immagini della vita di pochi che, per talento e vocazione, sono stati interpreti e portavoce dei sentimenti di molti. Non è un caso se si parla di “stelle” dello spettacolo; il termine porta già in sé una distanza incolmabile e racconta la meraviglia negli occhi di chi guarda. La lente di Feinstein è un cannocchiale che annulla le distanze e ci racconta di una luce che si è spenta molti anni fa, ma che continua ad ammaliarci e ispirarci, illuminando una testimonianza fotografica di enorme spessore culturale, storico e sociale.