Il valore innovativo della ruralità

Latina
Giardino di Ninfa, Cisterna di Latina

Pubblichiamo un intervento scritto a quattro mani da Daniela Cavallo, Direttore Latina finalista Capitale italiana della Cultura 2026, e Federico Massimo Ceschin, Presidente pro tempore di SIMTUR.

Il termine “rurale” è utilizzato comunemente come sinonimo di campagna, mentre in realtà dovrebbe indicare tutte le possibili relazioni con la campagna; tali relazioni diventano fili per sviluppare un “Rinascimento” di quei “luoghi di mezzo” tra un aggregato urbano e un altro, quello spazio naturale o coltivato che caratterizza gran parte del nostro Paese, dove l’agricoltura ha disegnato paesaggi – esito della presenza delle persone e delle comunità che curano e coltivano il territorio – divenuti elemento di attrattività e di bellezza, per una AgriCultura che genera connessioni fertili tra uomo e natura.

Ogni legame rinnovato con il contesto rurale consente di valorizzare infiniti fili, dal cibo al vino, dalla mobilità dolce al pernottamento, fino al vivere.

Ciò non vuol dire abbandonare le città, anzi queste ultime rappresentano la grande sfida per un nuovo modello di vita, ma cucire la campagna alla città in un nuovo patto che si disegni sempre più come “città/territorio”.

Questo è stato il focus della candidatura di Latina a Capitale italiana della Cultura 2026: le radici nella terra. In fondo, cosa meglio delle bonifiche ci parla della forza di volontà di un popolo che è riuscito a sottrarre – metro su metro, podere su podere – fango alle paludi per realizzare fertilità, sviluppo e benessere? Pensiamo agli ingegneri, agli operai, ai latifondisti ed ai numerosissimi immigrati (soprattutto dal Veneto e dal Nord Italia) che immersero le mani nel fango per ricavarne terreno agricolo e sviluppare borghi rurali. E poi, oltre ai borghi, la fondazione di nuove città concepite secondo i criteri dell’architettura razionalista: non solo Latina, fondata come Littoria nel 1932, ma anche Sabaudia (in onore dei Savoia), Pontinia, Aprilia e Pomezia, prima di uno sviluppo industriale che seppe favorire l’insediamento di numerosissime aziende, soprattutto alimentari, ma anche chimiche e farmaceutiche, che divennero attraenti per nuova immigrazione – questa volta da Sud – che finì per mescolarsi ai locali e ai coloni giunti dal Nord, in uno straordinario mescolamento di sudore e sangue, ma anche di dialetti, culture e stili di vita che hanno fatto dell’Agro Pontino un caso di studio demo-sociologico nazionale.

La sfida di Latina, oggi, è la sfida dell’Italia intera che, dopo decenni di abbandono della ruralità e delle aree interne, intenda proiettarsi nel futuro ripartendo dalla terra, dall’agricoltura di qualità, dall’innovazione e dal cibo, straordinario ambasciatore di sostenibilità economica, sociale e ambientale.

Latina – al centro del suo Agro – può diventare il paradigma di quel nuovo patto città/campagna che non soltanto restituisca dignità alla storia, alla memoria e al ruolo sociale dei contadini e degli agricoltori, ma suggerisca modalità innovative per generare sviluppo sostenibile in tante altre province italiane, alla luce di un’ecogastronomia in cui gesti semplici e tradizioni – sommate al duro lavoro – tornino a essere al centro della cultura e generino nuovi stimoli per sostenere la ricerca e l’innovazione.

Per questa sfida è necessario sviluppare un nuovo modello d’impresa, ovvero progetti che facciano conoscere il know-how del territorio e le possibilità di occupazione qualificata per i giovani, a livello nazionale e internazionale, dunque:
− favorire lo sviluppo di nuova imprenditorialità culturale come cura per ecosistemi fragili e a rischio di abbandono;
− favorire processi di apprendimento in- formali e learning by doing per i cittadini residenti e quelli temporanei;
− diffondere buone pratiche per la sostenibilità ambientale e la transizione energetica;
− essere modello nella cultura della circolarità.

Un Rinascimento rurale è possibile recuperando senso e significato, cucendo i fili del sistema territorio che fin dall’antichità vedeva nel modello della Polis greca la presenza della “Chora” quella parte di città con terre coltivate ad uso e consumo diretto dei cittadini, ma anche il patto città-campagna elemento fondamentale di buona governance come nell’affresco di Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo comunale di Siena “Allegoria ed effetti del Buono e del Cattivo Governo”.

Questo patto è stato promosso da Rurability, la piattaforma di buone pratiche di SIMTUR, Società italiana per la mobilità e il turismo sostenibile, ovvero la rielaborazione continua della dualità tra contesti urbani, periurbani e aree rurali e agricole è la chiave più interessante dei processi di territorializzazione, ma anche delle tendenze socioeconomiche in atto.

In un Paese di città millenarie, Latina può essere il laboratorio di questo nuovo paradigma nel concepire il rapporto tra città e aree periurbane, tra agricoltura e attività produttive, tra territorio, ambiente, energia, cibo, benessere e salute. In sintesi, tra natura e uomo, con tutte le esigenze del vivere contemporaneo. Latina può essere modello e innesco, può essere laboratorio e think tank. Nata dalla capacità delle persone di vivere nella natura, rigenerandola per ricreare le migliori condizioni di vita, oggi può prendere il testimone di una nuova sfida: le città non possono più essere pensate senza progettare contemporaneamente una relazione profondamente integrata con il territorio e con l’ambiente, in cui i bisogni dell’una trovano le prime risposte nelle “periferie agricole” e nel recupero e riuso di cinture periurbane allargate. Latina, con il suo straordinario territorio, contemporaneamente “granaio”, industria, centri urbani e natura, può essere tutto questo, può ambire a diventare un punto di riferimento nell’elaborazione di modelli circolari di sviluppo, può essa stessa sostenerli sul suo territorio, può offrire il teatro per un confronto continuo tra scienziati, accademici, imprenditori, istituzioni.