leggendo sguardi
stranieri e paralleli

Un piccolo progetto che può diventare grande. Lo raccontiamo ex post perché durante le giornate del Festival della Mente a Sarzana la confusione era tanta e la possibilità di raccogliere i pensieri poca. Adesso l’appunto riemerge dal taccuino ed eccoci qua a farvi conoscere Sguardi Paralleli. Dedicato a tutti quelli che non considerano lo straniero un invasore pericoloso, ma solo due occhi in più per vedere meglio la nostra città.
Partiamo dall’evento.
Crocevia di popoli e culture, Sarzana, cittadina ligure al confine con la Toscana, custodisce da secoli la memoria e la storia di chi l’ha abitata, per nascita o per scelta. Il suo patrimonio storico-artistico, condiviso dalle culture e dalle anime diverse di chi la vive tutti i giorni, si integra e si arricchisce in questo percorso di nuovi vissuti: quelli di chi, a Sarzana e da straniero, ha deciso di mettere nuove, talvolta provvisorie, radici. Le parole di queste persone fanno scoprire i luoghi della città attraverso l’occhio di chi la osserva e la racconta partendo dalla propria storia per restituirla così, ancora, ad altri sguardi. Otto donne provenienti da paesi molto diversi tra di loro che incantano con le loro parole il visitatore. Eccole, Madiha Chaabti, Ana Covaci, Emilie Fe, Barbara Leix, Phillippa Peckham, Elena Sadovnic, Indira Seijas, Maria Cristina Sicuranza.
Sguardi paralleli, la visita interculturale alla scoperta della città realizzata durante parallelaMente 2017, festival “parallelo” a Festival della Mente, ideata da Virginia Galli e Beatrice Meoni in collaborazione con Francesca Giovanelli, è stata riproposta quest’anno in forma scritta. Ogni passante poteva leggerle e custodirne una copia.
Scripta manent.

foto di Luca Giovannini per parallelaMente
MEMO le ha lette. E ve ne regale tre. Il lavatoio di via Mascardi in pieno centro storico raccontata dai 29 anni di Emilie, arrivata in Italia dalla Costa d’Avorio nel 2000. Il monumeto a Garibaldi che Elena Sadovnic non sa chi sia e cosa abbia fatto ma che gli ricorda tanto l’infanzia in Unione Sovietica e di quando bambina per aver raccolto tanta uva veniva premiata con una visita ai monumeti più imponenti e solenni del suo Paese. La Fortezza Firmafede dove Madiha ha suonato con il suo violino le canzoni dei Beatles e spiegato perché lei porta il velo (e anche come fa a metterlo così bene). Buona lettura
LAVATOIO DI VIA MASCARDI

foto di Luca Giovannini per parallelaMente
di Emilie Fe, Costa d’Avorio
Salve a tutti, mi chiamo Emilie Fe, sono nata in Costa d’Avorio ventinove anni fa.
Originaria di una città nei pressi di Man, mi sono trasferita in Italia nell’ottobre del
2000 per motivi familiari.
Il mio viaggio di arrivo mi ha portato subito a Sarzana, senza tappe intermedie, e da
subito, anche se ancora confusa, senza parlare italiano e con mille difficoltà, sono
rimasta affascinata dalla città.
Sarzana era molto diversa rispetto a qualunque città ivoriana, ma girando e scoprendone i monumenti, gli scorci, le piazze e paesaggi, sempre di più entrava nel mio cuore.
Un giorno scorsi con un colpo d’occhio un luogo a me molto familiare e subito ne
rimasi folgorata, tanto da sentirmi accapponare la pelle: il Lavatoio di Via Mascardi.
«Il lavatoio – mi dissi – anche qui…». Sì, perché per me non era un luogo storico
qualunque o il solito monumento, ma il punto d’incontro con la mia terra, con le
mie origini.Quanto tempo avevo passato a lavare il bucato con la mia nonna speciale!
Quasi tutti i giorni la nonna si recava presso il lavatoio della nostra cittadina a fare il bucato, e io sempre con lei. Incredibile per me, quasi con le lacrime agli occhi da ragazzina che ero, trovare un punto d’incontro anche minimo con casa! E incredibile era tutto ciò che questo luogo, anche se ormai inutilizzato, rappresentava per me.
Spesso mi reco ancora qui…l’emozione è assopita dopo anni…ma resta comunque
sempre un po’ di pelle d’oca e spesso una lacrima, soprattutto nel ricordo della mia
nonna. Al tempo, subito in una telefonata ricordo lo stupore anche nelle parole della mia Satì, che dopo la mia descrizione del lavatoio rimase sorpresa: «Ma come? Lì non ci sono tutte le macchine per lavare i panni?», disse, quasi preoccupata che mi dovessi lavare tutto da sola! «Tutto il mondo è paese», disse. Ora dopo anni posso dire che credo sia vero, i dettagli cambiano, ma la sostanza resta, la differenza non è mai così grande come sembra, anzi, siamo tutti più vicini di quello che crediamo. Vi ringrazio di aver ascoltato questa piccola storia per me ancora viva. Vi auguro di trovare un luogo speciale anche a voi tutti, che vi faccia sobbalzare il cuore. Con il sorriso come al mio solito, un saluto.
IL GENIO DELLA STIRPE /MONUMENTO A GIUSEPPE GARIBALDI

foto di Luca Giovannini per parallelaMente
di Elena Sadovnic, Repubblica di Moldavia
Io vengo dalla Moldavia, che una volta faceva parte dell’ex Unione Sovietica.
Fin da quando ero piccola e avevo dodici anni, andavo in una scuola in cui, nel mese
di settembre, durante la vendemmia i bambini andavano a lavorare per lo stato
raccogliendo l’uva.
Eravamo trenta bambini nella mia classe e io ero la più brava a raccogliere i vari cestini di uva, perché ero già alta e forte.
La professoressa, che segnava il numero di questi cestini, ogni volta mi diceva:
«Brava Elena, hai raccolto molta uva!». E quando si finiva, a volte anche dopo un
mese di lavoro nelle vigne, chi era stato più bravo veniva premiato.
Uno dei premi era una gita per visitare le città più importanti dell’Unione Sovietica.
Quando sono venuta a Sarzana e ho visto questo monumento dedicato a Garibaldi,
mi sono subito venuti in mente i monumenti visti durante quelle gite premio.
Io non so cosa abbia fatto questo Garibaldi, ma questa statua è molto simile a quei
monumenti che ho potuto vedere nella mia infanzia.
FORTEZZA FIRMAFEDE

foto di Luca Giovannini per parallelaMente
di Madiha Chaabti, Marocco
Mi chiamo Madiha, sono una ragazza marocchina musulmana e come tale pratico la mia religione portando il velo. Lo misi quando ero molto piccola, all’età di 11 anni.
A quel tempo già suonavo violino e il mio velo non è stato sicuramente un limite.
Ho scelto la Cittadella perché, così come essa si aprì durante il periodo di guerra per ospitare altre culture e altre civiltà, ha aperto la porta anche a me, permettendomi di rompere gli stereotipi riguardo al velo visto come un muro, una segregazione. Infatti, un paio di anni fa, suonai il violino all’interno di questa fortezza, in un concerto dedicato alla memoria dei Beatles. Mi ricordo la presenza di un gruppo misto, mi ricordo gli sguardi delle persone rivolti verso di me.
Sarà stata la curiosità? Sarà perché a quel tempo mettevo il velo in maniera più artistica…avevo due fasce, una gialla e una arancione, ricoperte parzialmente da un velo bianco e lateralmente un grosso fiore arancione in tema del concerto.
A fine esibizione le persone si avvicinavano a me facendomi domande…
«Ma come fai a metterlo così?»
«Ma come fa a venirti così bene?»
«Ma quanti veli hai?»
O ancora…
«Ma sei sicura che l’hai messo per scelta?»
«Ma perché lo metti?»
Ecco, per me la Cittadella rappresenta un grosso progresso personale…e ogni volta
che vengo qui, rivivo ancora tutto l’accaduto.