Per un manifesto urbano della bellezza

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Ecologia, architettura, arte, paesaggio e le loro interazioni e interdipendenze. L’architetto Maurizio Spada, fondatore dell’Istituto Uomo e Ambiente, sorto a Milano nel 1984, prosegue con il nuovo libro intitolato La cultura della bellezza, edito da Albeggi Edizioni, il suo “pensiero ecologico” al servizio di una nuova urbanistica che si appoggia sul paradigma ecologico della complessità e dellʼinterrelazione, capace di raccogliere tutte le discipline umanistiche e affrontare la città come un ecosistema, cioè un insieme di relazioni di natura complessa.
Per gentile concessione del suo editore ne pubblichiamo un estratto dedicato al rapporto tra ambientalismo e bellezza. 

Ambientalismo e bellezza

di Maurizio Spada

Oggi credo che la crisi ecologica sia anche il frutto di un decadimento dell’idea di bellezza nella cultura dell’occidente industrializzato. Lo psicologo e filosofo americano Wayne W. Dyer a proposito delle più alte necessità interiori irrinunciabili così scriveva sulla bellezza: “Immaginate di stare in un ambiente ripugnante per un lungo periodo. Eliminate tutte le cose belle della vostra vita e circondatevi di cose brutte e spiacevoli. Sarete stupiti del risultato. In breve scoprirete quanto è importante avere e apprezzare la bellezza che è intorno a voi. Se non c’è bellezza diventerete presto tetragoni, indifferenti alle cose che vi circondano. Diventerete malevoli, irosi, turbati (…), vi potrete addirittura ammalare negandovi la possibilità di vedere la bellezza di questo pianeta. Molti pensano che la bellezza sia un lusso e che si possa vivere benissimo anche senza se necessario. Eppure non è cosi, il bisogno di bellezza è proprio un bisogno e senza bellezza l’organismo soffrirà come se gli venisse negato il sonno, o un tetto sopra la testa, anche se ci vorrà più tempo per constatarne i risultati di tale mancanza.” Anche lo junghiano James Hillman, recentemente scomparso, ha più volte affermato che la crisi del ‘900 consiste nella rimozione dell’esigenza di bellezza e ha scritto diversi saggi sull’argomento.

Tuttavia abbiamo un quadro culturale che ha abdicato al concetto stesso. Questa situazione ha prodotto come conseguenza una caduta di valori che tradizionalmente erano legati a questa idea e cioè cura, attenzione, equilibrio, decoro. Ciò, in una cultura mediatica e riduttiva ha ingenerato assenza di gusto e quindi atrofia dell’esigenza profonda di esprimere il desiderio e la nostalgia della bellezza come creatività naturale e gioia di vivere in armonia. Da qui alla crisi ecologica il passo è breve e conseguente: dove tutto è funzione del valore economico, compresa la natura, e questo è funzione del potere che ne deriva e della tecnica che ha perso il suo fine di “utilitas” per servire il guadagno di pochi, inevitabile è la confusione, l’arbitrio, lo spreco di risorse e lo squilibrio ambientale.

La riflessione ecologica quindi ci conduce a riprendere in esame i concetti di natura, bellezza e creatività. Le pandemie che periodicamente si sono succedute in questo inizio di secolo, e in particolar modo quest’ultima, sono da ascriversi alla reazione naturale a questo squilibrio generale della vita sul globo terrestre. Anche il concetto di natura è relativo alla cultura che lo esprime e se questa se ne pone al di fuori in una dicotomia aggressiva e violenta ecco che viene vissuta come il nemico da distruggere. La natura invece non è né buona né cattiva, rispetto ai nostri canoni etici è indifferente, ma è creativa.

Nel nostro Occidente, a partire dal mondo greco-romano vi sono sempre stati invece due atteggiamenti separati nei suoi confronti: quello di esaltazione della ragione e dell’artificio contro di essa e quello del sentimento della natura, come nostalgia di un’arcadia piena di piaceri e tranquillità, una sorta di paradiso originario. Il secondo prevale come reazione al meccanicismo del primo. Sintetizzando, la natura diventa il contraltare dello scientismo in una visione illusoria e idilliaca di primitiva purezza e ingenuità e l’uomo naturale il buon selvaggio, salvo far prevalere la tendenza opposta in un tempo successivo quando la cultura si esalta per la scienza. È necessario dunque uscire da questa dicotomia, dobbiamo perciò accettare che la natura è origine di tutto e che noi stessi siamo natura, la sua creatività infinita ci ha sempre affascinati e si è anche identificata con l’idea di bellezza. L’uomo è l’essere naturale più evoluto e l’atteggiamento giusto dovrebbe essere quello di seguire la natura e guidarla al tempo stesso a servire il benessere di tutti senza distruggerla.

La bellezza dunque si lega al concetto di creatività naturale e quindi rispetto per la vita. Creativo è colui che crea condizioni di vita che prima non c’erano permettendo il passaggio da stati di malessere a stati di benessere, dal caos al cosmo che era una prerogativa divina, dalla disarmonia all’armonia, dal disequilibrio all’equilibrio, dalla disgregazione all’unione, dalla semplificazione alla complessità, da minor vita a più vita e queste caratteristiche sono tipiche della natura se lasciata agire indisturbata, naturalmente anche attraverso catastrofi naturali, perciò non bisogna intendere che questo sia bene anche per l’uomo ma egli, proprio perché è l’essere naturale più evoluto, diventa creativo quando persegue il benessere in accordo con la natura seguendola e guidandola, secondo il paradosso di Edgard Morin.

(…)

La stessa Chiesa cattolica ha finalmente compreso che oggi l’etica e la morale vanno allargate al rapporto con la natura, con gli animali e le piante, oltre che agli uomini, in una visione già presente nel misticismo dei padri antichi e del Santo di Assisi. Né sono passati invano il marxismo e i movimenti giustizialisti perché l’ambientalismo serio comprende più giustizia sociale per le minoranze emarginate, per gli oppressi contro gli oppressori, sostiene l’universalità dei diritti civili. L’uomo nuovo non è visto come un semidio greco, ma come quella profonda realtà che si manifesta in tutto il corso della vita e, forse, più ancora quando minore è la prestanza fisica. Da qui l’interesse rinnovato per le donne, gli anziani, i bambini e i portatori di handicap, perché contro la dimensione consumista dell’uomo che ne esalta la giovinezza, la sessualità, in una parola l’esteriorità dei modelli imposti.

Il nuovo ambiente per gli ambientalisti è quindi un mondo più sano, con meno squilibri e contraddizioni dell’attuale, anche se non si pensa a una società perfetta ma anzi proprio sull’esempio del sincretismo orientale, cui spesso ci si ispira, si accettano le diversità e le si considerano essenziali, un ideale pratico che andrebbe a innestarsi sulla speranza nell’avvento del regno di Dio per i cristiani e sulla tensione alla realizzazione del socialismo per i laici, ma senza le illusioni, le ingenuità, il dogmatismo e il fanatismo che a volte hanno caratterizzato i seguaci di queste diverse e simili soteriologie.

Ci si rende conto che siamo arrivati a un punto in cui non si possono avere degli ideali assoluti, anche perché si è imparato a temere le risoluzioni finali e si è dovuto scoprire, purtroppo, che il fine non giustifica affatto i mezzi ma che i mezzi, oggi più che mai, sono anche il fine: occorre quindi essere pratici pur restando idealisti, seguendo l’ormai famoso adagio ecologista “agire localmente e pensare globalmente”. Occorre passare da un’economia lineare fondata sullo schema estrarre, produrre, utilizzare e gettare, che consuma e distrugge, a una economia circolare basata su un modello che implica estrarre dove si può, progettare, produrre, distribuire, utilizzare, raccogliere, riciclare.

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Maurizio Spada, La cultura della bellezza, Albeggi Edizioni, 2022