Ma cosa siamo diventati?
Niente di diverso
da quello che siamo sempre stati

cosa siamo diventati

Una Commissione straordinaria di Camera e Senato contro l’odio razzista, la discriminazione, la xenofobia, l’antisemitismo. L’ha chiesta Liliana Segre, che ogni giorno subisce sulla sua pelle la violenza di essere donna, ebrea, sopravvissuta e testimone dell’Olocausto.

Il Parlamento approva. Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, no. “Mi spieghi, senatrice Segre, cos’è esattamente il razzismo”, ha chiesto Matteo Salvini sorridendo. La destra in Parlamento non ha votato per la costituzione di una commissione straordinaria per i reati di xenofobia, razzismo e antisemitismo? Quel voto era una semplice e necessaria presa di coscienza.

Un senso di nausea, vergogna, impotenza mi ha assalito.

È morto Alberto Sed. Aveva 91 anni. Era sopravvissuto ad Auschwitz. Uno dei pochi. Per 50 anni non riuscì a parlare dell’orrore che aveva visto e vissuto, poi si sbloccò. “Non sono mai riuscito a tenere in braccio un neonato, perché i nazisti ce li facevano lanciare in aria e li usavano per il tiro al piattello”. Da ragazzino era una promessa del calcio. Tifava Roma. A Francesco Totti una volta disse: “Se non finivo deportato in un campo di concentramento sarei diventato più forte di te”. Il Consiglio comunale di Dresda, il capoluogo della Sassonia, poche ore prima, aveva varato lo “stato d’emergenza nazismo”. Il neonazismo non si nasconde più. La sua violenza di manifesta e si esibisce per strada. Il passato è un rigurgito di vomito andato a male che torna a bussare alla porta delle nostre coscienze.

Intanto, a Lucca, dei ragazzini cosplayer vestiti da soldati nazisti sfilavano tranquillamente in mezzo a Spider-Man, i Fantastici 4, Goldrake, il gruppone di Resident Evil, Umbrella compresa, Batman e Robin. Contemporaneamente il calciatore Mario Balotelli, a Verona, tirava una pallonata alla curva dei tifosi del Verona che gli davano del “negro” esibendo delle bandiere con la svastica.

Che cosa siamo diventati?

Mi risponde l’amico, collega e scrittore Giuseppe Cesaro. Condivido la sua riflessione.

“Cosa siamo diventati?”, chiede l’amico Paolo Marcesini, a proposito di quanto successo ieri in Parlamento.

Niente, caro Paolo. Non siamo diventati niente. Niente di diverso da ciò che siamo sempre stati: uno Stato che non è uno Stato, in un Paese che è sempre più paese abitato da gente antropologicamente antidemocratica. Non c’è bisogno di scomodare giganti del pensiero come Emanuele Severino per capire che niente può diventare ciò che non è. Se oggi siamo così, dunque, significa semplicemente che siamo sempre stati così. E, dato che non possiamo smettere di esserlo, continuiamo a esserlo.

Democrazia, legalità, onestà, dignità, civiltà e solidarietà sono eccezioni, non regole. Fulmini che squarciano la notte, illuminandola per pochi secondi, prima che il buio se ne riappropri. O facciamo nostra questa consapevolezza, o qualunque analisi è inutile.

Ne “Il paradosso della bontà” – interessantissimo saggio appena pubblicato da Bollati Boringhieri – Richard Wrangham (docente di antropologia biologica ad Harvard) spiega che “tra le grandi bizzarrie dell’umanità c’è l’ampiezza dello spettro morale dalla perfidia più indicibile alla generosità più commovente”. “In tutto il mondo – aggiunge Wrangham – gli esseri umani sembrano possedere la stessa propensione sia alla virtù sia alla violenza”. Una “combinazione di bene e male nell’uomo” che “non è un prodotto della modernità”. È nata con noi.

Secondo Simone Weil, è proprio questa mescolanza il problema più grande. “Il vero male – scriveva la Weil – non è il male, ma la mescolanza del bene e del male”.

Perché? Lo spiega, acutamente, la filosofa Roberta De Monticelli (“Al di qua del bene e del male”, Einaudi, 2015): “solo dove c’è mescolanza lo sguardo può distogliersi dalla parte di male e volgersi a quella di bene, per quanto infinitesima. Può ignorare la parte di male”.

È per questa mescolanza che ci auto-assolviamo. Guardiamo la ‘pagliuzza’ del bene, evitando accuratamente di guardare la ‘trave’ del male, che occupa quasi interamente la nostra anima. E, così, diciamo a noi stessi che siamo buoni per negare – ai nostri occhi e agli occhi altrui – ciò che siamo davvero: cattivi. Lupi nei confronti degli altri uomini, come rilevava Plauto, centinaia di anni prima di Hobbes.

Una tazza di caffè nella quale scivolano due o tre gocce di latte non è completamente “nera”. Anche in lei c’è qualcosa di “bianco”. La stessa cosa riteniamo valga per la nostra anima. Se, in noi, appaiono due o tre gocce di bontà, allora vuol dire che non siamo cattivi. Come se quelle due o tre gocce fossero in grado di compensare, anzi, di annullare i litri e litri di cattiveria che portiamo dentro.

Un sillogismo falso e di comodo che ci consente di spacciarci per buoni quando, invece, in noi prevale la cattiveria.

“Adolf Hitler – ci ricorda Wrangham – aveva modi gentili, affabili e paterni […], non sopportava la crudeltà verso gli animali: era vegetariano e adorava il suo cane Blondi, tanto che ne pianse amaramente la morte”.

Indigna quello che è successo ieri. Profondamente. Ma non sorprende. Purtroppo.

La verità è che siamo degli appestati. Per la nostra società, febbre, nausea, vomito e delirio sono la normalità. La loro assenza è un’eccezione. Breve, come accade ogni volta che la malattia – come nel nostro caso – è cronica.

“Stercus es et in stercus reverteris”.