Paolo Verri: E se iniziassimo a ‘capire’ la cultura?

Verri

Come dice Francesco Piccolo questa settimana sulle pagine de la Lettura del Corriere della Sera, “ci sarà una rinascita e sarà davvero come quella del dopoguerra, con l’euforia e la capacità di ricostruire. A questo credo fermamente. Ostinatamente. Ottusamente… Dentro la mia testa convivono i pensieri più egoisti e superficiali e la comprensione dell’umanità, di cui dal mese di marzo sono orgoglioso di far parte, così come sono sinceramente orgoglioso di vivere in questo Paese (dal mese di marzo)”.

Paese in cui si concentrano il 70% delle bellezze artistiche di tutto il mondo e dove l’industria culturale creativa rappresenta un motore di sviluppo capace di esprimere innovazione, tecnologie, coesione con i territori e buona occupazione. Siamo tutti consapevoli del ‘merito’ che in questo periodo ha avuto il digitale anche nel settore cultura: sono stati messi online e a disposizione di tutti collezioni permanenti e temporanee, rese virtualmente visitabili opere d’arte e architettoniche di tutta la Penisola. Dal Museo Egizio a Torino, alla Galleria degli Uffizi a Firenze, dalla Pinacoteca di Brera alla Cappella Sistina a Roma e alla Reggia di Caserta. Anche i musei più piccoli, aderendo all’iniziativa del MiBACT #iorestoacasa, hanno adottato strategie social – digitali. Come la Pinacoteca Agnelli a Torino, che addirittura ha creato online una radio, con una selezione musicale costruita dall’utente stesso, che aggiunge a Spotify brani che ricordano le opere esposte nel museo del Lingotto.

Insomma, il presente è questo – anche i teatri comunicano il loro essere in vita attraverso la messa in streaming sul web di concerti, opere, balletti, pièce – ma il domani come sarà? Esiste una ricetta per (ri)pensare il sistema culturale futuro? Lo abbiamo chiesto a Paolo Verri, manager culturale e direttore generale della Fondazione Matera – Basilicata 2019, prendendo spunto dal suo recente intervento sul Giornale dell’Arte: ”Il coronavirus di colpo ha sancito definitivamente che la cultura sarà digitale”, e proprio ieri, a conferma di questo, il Ministro Dario Franceschini ha dichiarato “stiamo ragionando sulla creazione di una piattaforma che consenta di offrire a tutto il mondo la cultura italiana non come adesso, in modo volontario e gratuito, ma a pagamento: una sorta di Netflix della cultura italiana”.

Quella digital non potrà però prescindere dalla cultura personale, avverte Verri. “Per ripartire fin da subito, sarà innanzitutto necessario ricostruire una cultura e una coscienza critica individuale e al contempo collettiva in grado di scremare, eticamente e responsabilmente, i contenuti digital spesso e volentieri fatti di non – qualità”.  E ancora: “Il tema della lettura dei quotidiani, dei mensili, dei libri deve essere vissuto come prioritario… Perché il problema non è tanto il leggere, quanto il capire. Ci sono problemi serissimi di analfabetismo di ritorno, di comprensione dei testi e riconoscimento delle fonti”.

Altro punto, uscire dall’abitudine tutta italiana del campanilismo: cioè di quell’individualismo culturale che negli anni ha spinto realtà piccole e grandi a creare eventi, tutti tra loro isolati e sganciati. Invece, progettare pochi eventi ‘ma buoni’, in cui la parola chiave sarà cooperazione, anzi supercooperazione. In quest’ottica, spiega Verri, “non ha senso considerare l’Italia divisa in 21 regioni: si dovrà ragionare invece su 6/7 macroaeree a ovest e ad est sia per il nord, sia per il centro, sia per il sud, creando per ognuna di esse poli di eccellenza (o rivalorizzando quelli già esistenti). Il digitale giocoforza continuerà a esistere e dovrà avere un ruolo fondamentale, specialmente come diffusore di contenuti, ma sarà necessario trovare un equilibrio con l’offerta culturale dal vivo, vera matrice dei contenuti in quanto tali.

Possiamo immaginare una ripartenza in cui il privato faccia massa critica per un rilancio in tempi brevi? Sicuramente – e anche su questo punto ci conforta essere in linea con Verri – daranno sollievo le ‘iniezioni’ alla cultura da parte di Fondazioni e realtà che sono state e sono grandissimi mecenati (Lavazza, llly, Gucci, Prada, Trussardi solo per citarne alcune). “Naturalmente il ruolo del pubblico rimarrà determinante per istruzione, istituzioni museale e arti liberali e scientifiche, il privato farà invece parte innovativa”.

Ma soprattutto, sarebbe necessario elaborare fin da ora, conclude Verri, “un piano strategico indicando le 10 priorità per i prossimi 10 anni, ascoltando regioni, aree metropolitane, esperti, dirigenti e operatori privati”.

Un piano per inserire ogni tessera – grandi fondazioni e piccole compagnie – in una visione strategica d’insieme che, regolata da una precisa normativa, non lasci indietro nessun lavoratore del comparto e, al contempo, “imponga a livello mondiale alcune idee italiane sulla cultura”. Perché abbiamo la fortuna di vivere in Italia, immersi nella Grande Bellezza.