Tu lo sai cosa mangiare? Diego Parassole e i paradossi del cibo

Diego

È uscita la seconda edizione del libro di Diego Parassole e Riccardo Piferi All you can eat, per Scienza Express Edizioni. Un’edizione riveduta e scorretta, arricchita di nuovi dati, infografiche e letture per ragionare sulle crisi che stiamo affrontando: climatica, finanziaria, della sicurezza alimentare.
La prima edizione uscì nel 2014: tra comicità demenziale, battute urticanti, dati scientifici e visioni personali, Diego Parassole ci aveva già presentato gli scenari possibili rispetto al nostro futuro e a quello che avremmo mangiato negli anni a venire. Sempre a suo modo, con il sorriso sulle labbra. Dal 2014 sono cambiate molte cose, soprattutto sul versante della questione alimentare. Era quindi ora di costruire un nuovo ragionamento, e da qui arriva la seconda edizione di “All you can eat”.

Il direttore di MEMO e Italia Circolare, Paolo Marcesini, chiamato a scrivere la postfazione, ha sintetizzato così il senso del libro: “Alla base di tutto, un’idea semplice: tutto può cambiare in meglio, tutti possiamo migliorare. In fondo la fine del mondo è solo un brutto spettacolo, decidere di lasciare un mondo migliore ai nostri figli invece è una meravigliosa impresa, una vocazione, l’unica cosa che dobbiamo fare, il motivo per cui siamo qua, adesso. Diego fa ridere il suo pubblico obbligandolo a pensare e svelando il lato più nascosto della nostra consapevolezza. La sostenibile leggerezza dell’essere della sua comicità è uno specchio su cui riflettere. Dietro le sue battute c’è una ricerca ossessiva del dato. Con i suoi collaboratori e amici controlla, verifica, si informa. Sente molto forte la responsabilità di quello che dice”.
Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo la prefazione del libro, comprensiva di post scriptum per la seconda edizione, scritta dall’economista Andrea Segrè.

di Andrea Segrè

All you can eat o Just eat it?
A parte che siamo stufi di tutto questo inglese – lo dice uno che si è inventato il last minute market, dunque è assai poco credibile – in effetti la domanda ha un senso, mette un dubbio.

Tutto ciò che puoi mangiare o Mangia tutto? Il primo è il titolo di questo libro, ma sembra quasi il claim (scusate di nuovo) di qualche ristorante: paga un forfait (francesismo, ma in cucina funziona), accomodati e mangia quanto vuoi. Il secondo è il titolo di un documentario canadese su una coppia che decide di nutrirsi per alcuni mesi solo con il cibo trovato nella spazzatura. Ma è anche il nome di una catena che porta pizze, sushi, kebab e credo altro a domicilio, pranzo e cena.

Il fatto è che – non a caso tutti questi anglicismi – il food, il cibo, è diventato un fenomeno globale, nel bene e nel male. Da una parte si sfidano in tv “maestri” spadellatori virtuali che saziano un pubblico crescente di fan(s). Dall’altra continua la pubblicità, sempre sullo stesso schermo, di qualche organizzazione non governativa con foto di bambini denutriti dallo stomaco gonfio di aria. Magari torna in voga il monito di quando ero bambino io: mangia tutto ciò che hai nel piatto che in Biafra i bimbi della tua età muoiono di fame (e non riuscivo a capire la relazione fra il mio piatto e il loro…).

Del resto, va detto, mangiare soddisfa un bisogno primario ineludibile, che dovrebbe essere anche un diritto universale: se non mangi cibo in quantità e qualità sufficiente (Houston) puoi avere dei “problemi”.

Invece molto, troppo spesso mangiamo junk food (non mi scuso più), che altrettanto spesso finisce nel junk, ovvero nel bidone della spazzatura. Ma non voglio parlare qui di spreco alimentare, cibo ancora buono da mangiare che finisce appunto nella spazzatura, perché se no mi dite che ho un chiodo fisso (che è vero).

Qui mi verrebbe la voglia di porvi un’altra domanda, anche questa piuttosto marzulliana: «Ma allora mangia­mo per vivere o viviamo per mangiare?». Un bel dilem­ma capire la domanda, bisogna fermarsi un attimo, e poi dare una risposta sensata. Non c’è lo spazio, per fortuna. E soprattutto un libro lo state per leggere: non ne voglio scrivere un altro.

Però, voglio farvi riflettere su come, con poco, si cam­bia la prospettiva. Infatti basta sostituire una vocale fra “sei” (essere) e “sai” (sapere) che il famoso detto attri­buito al filosofo Ludwig Feuerbach, «sei ciò che mangi» (non so se l’ha detto veramente lui, io preferisco citare Luciano Ligabue in Baby, è un mondo super), si trasforma nell’interrogativo «sai ciò che mangi?».

Ecco il punto: noi non sappiamo cosa mangiamo. E in fondo Diego Parassole, come tutti i comici seri (ossi­moro su cui invito a riflettere), ci parla proprio di que­sto. Nel senso che, facendoci ridere, talvolta amaramen­te (altro ossimoro), ci informa e ci fa riflettere sul cibo. Una delle parole più abusate e aggettivate dei nostri tempi, soprattutto adesso che si avvicina Expo 2015 e si comincia a passare dai contenitori (leggi: padiglioni) ai contenuti (leggi: «Nutrire il pianeta, energia per la vita»).

Diego non lo sa ancora, ma quando leggerà questa prefazione capirà di aver scritto nientepopodimeno che un “manuale” di educazione alimentare. E nei suoi spet­tacoli di aver recitato lezioni di educazione alimentare a beneficio del suo pubblico, gli studenti che siamo tutti noi. Materia che, lo dico da tempo senza grande succes­so, dovrebbe essere insegnata obbligatoriamente nelle scuole di ogni ordine e grado, un po’ com’era una volta l’economia domestica.

Educare – e adesso faccio davvero il professore che sono – dal latino ex-ducere, “tirare fuori”: invece di “mettere dentro” la pancia alimenti cattivi o “inculca­re” nutrienti dannosi attraverso marketing e pubblicità dobbiamo – ecco l’educazione alimentare – tirare fuori il meglio del cibo. Lo ripeto, il cibo deve soddisfare un bisogno fondamentale dell’uomo, non un desiderio. Ali­mentarsi bene, in quantità sufficiente sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, è un diritto ma anche un dovere e un valore.

Ecco, forse, la lezione più importante: il cibo ha valo­re. Una società come la nostra, dove il cibo non è più un valore in tutte le sue qualificazioni e aggettivazioni – nu­trizionale, economico, ambientale, territoriale, cultura­le, storico, conviviale, relazionale, emozionale e potrei andare avanti a lungo – è davvero arrivata al capolinea o, più propriamente, alla frutta.

Questo libro ci spiega invece che non è, e non deve essere, così.

Post Scriptum

Quando l’editore mi ha chiesto se volevo rivedere la prefazione del libro di Diego in corso di riedizione, prima di rispondere ho voluto rileggerla. Sono passati dieci anni – pensavo – chissà cosa ho scritto, da allora il mondo è totalmente cambiato. Invece non cambierei una virgola, la trovate integrale qui sopra. Dieci anni fa – sembra un secolo, tante cose sono successe nel mondo – era chiaro tutto, almeno per me si intende. Da allora, oltre a essere invecchiato o forse proprio per questo, ho solo ripetuto gli stessi concetti (mangiare è un atto mul­tiplo, soprattutto politico); fatto le stesse richieste (in­serire obbligatoriamente l’educazione alimentare nelle scuole di ogni ordine e grado); ampliato gli studi (sul di­ritto a un’alimentazione adeguata per tutti e ovunque); aggiornato i dati (sullo spreco alimentare in Italia e a livello internazionale).

Ma il mondo del cibo con tutte le sue contraddizioni non è cambiato. Anzi, è peggiorato. Più affamati, più obesi, più spreco, più poveri, più disuguaglianze, più in­quinamento, più caldo: tutto positivo, in realtà negati­vo. Confesso che c’è un senso di frustrazione in questa post-riflessione. Ed essere “promosso”, dalla postfazio­ne di allora alla prefazione di adesso, non vorrei facesse pentire l’editore e l’autore. Come se questi dieci anni fossero passati invano.

In parte è vero. Abbiamo perso tante occasioni per capire che il cibo è salute, è ambiente, è società, è eco­nomia, è politica. E agire di conseguenza. Produrre e consumare alimenti ha un impatto sulla nostra salute, sull’ambiente che ci circonda, sulla società in cui vivia­mo, sull’economia che ci sostiene, sulla politica che in­dirizza con misure e risorse. Ma come per le diete, biso­gna capire che c’è bisogno di equilibrio. E siccome non è solo una questione di bilanciare correttamente i nutrien­ti, anche se sarebbe già tanto, il mondo del cibo ha biso­gno anche di equità, giustizia e solidarietà. Possibile che chi produce un alimento guadagni di meno, se poi gua­dagna, rispetto a chi lo distribuisce? Possibile che siano proprio i più poveri ad ammalarsi perché, per soddisfare un bisogno essenziale, mangiano male cercando il costo della caloria più basso possibile? Possibile che ancora si sprechi un terzo del cibo a livello globale, una quanti­tà che basterebbe a nutrire un terzo della popolazione mondiale? Sì, è possibile perché continua a succedere.

Ma non posso lasciarvi a questa riedizione senza una parte ottimista. Che poi è nel mio modo di essere e di vivere: cercare il bicchiere mezzo pieno. Magari di buon vino: ne basta la metà e siamo perfettamente dentro tut­ti i parametri medici, a proposito di salute. Le buone notizie sono addirittura due.

La prima è che finalmente abbiamo a disposizione uno strumento, anzi un’applicazione, che con grande facilità ci consentirà di abbattere lo spreco alimentare e adottare un regime alimentare sano e sostenibile come la Dieta mediterranea. È lo Sprecometro, bellezza: pro­vare, anzi scaricare per credere!

La seconda è che il libro di Diego, così aggiornato e arricchito con infografiche dense di informazioni, è an­cora molto attuale: leggetelo!

Diego

Diego Parassole, Riccardo Piferi, All you can eat. Siamo sapiens o cavallette?, Scienza Express, 2023.