Letture e riletture per affrontare l’emergenza

letture

In questi giorni difficili di isolamento, di preoccupazione e di solidarietà può venire come sempre in nostro soccorso la lettura di libri. Ma quali libri?

Ennio Flaiano diceva che esistono tre modi di leggere, e procedeva a classificare i libri in base al loro prestarsi ad un modo o all’altro di lettura. C’è il modo disattento, il più diffuso, adatto a libri che sono stati scritti con pari disattenzione, solo per riempire una sorta di orrore del vuoto e di se stessi. Si può poi leggere “per sospetto e invidia” di solito i “best seller” del momento, per poter continuare a dubitarne, ma anche per tentare di scoprire il segreto della loro gradevolezza (spesso) effimera. Il terzo modo di leggere un libro consiste secondo Flaiano nel “non abbandonare mai ‘quel libro’, nel lasciarlo e riprenderlo, nell’‘andarci a letto”.

“Lo scopo di questi libri – spiega lo scrittore – è infatti di essere riletti, di farsi riprendere quando tutto va male, quando ci sembra che la verità possa esserci confermata non da quello che succede intorno a noi, ma da quello che è nelle pagine di un libro”.

In questi giorni di emergenza, a quali libri, mai abbandonati, potrebbe essere di conforto ritornare? Ognuno di noi ne avrà di certo alcuni particolarmente prediletti. Intanto ecco qualche suggerimento: si tratta di libri che potrebbero essere “abitati” e “sentiti addosso”, per dirla sempre con Flaiano, durante il tempo amaro di questa nostra quarantena.

Le avventure di Huckleberry Finn di Mark Twain, un omaggio al fascino magico di tutte le storie e al nostro volerci credere, da ragazzi, ma, per fortuna, non solo.
“Una volta Tom [Sawyer] disse di avere avuto notizie segrete dalle sue spie: l’indomani un intero gruppo di mercanti spagnoli e di ricchi arabi si sarebbe accampato alla Caverna Vuota con duecento elefanti e seicento cammelli e più di mille muli da soma, stracarichi di diamanti, con una guardia di appena quattrocento soldati, cosicché noi avremmo fatto un’imboscata, come diceva lui, ammazzando tutti e fregandoci la roba. […] Quando ricevemmo l’ordine ci buttammo fuori dal bosco e giù per la collina. Ma non c’erano né spagnoli né arabi e niente cammelli ed elefanti. C’era soltanto una merenda domenicale per una scolaresca di prima elementare […] Non avevo visto diamanti e lo dissi a Tom Sawyer. Disse che invece ce n’erano a montagne; e che c’erano anche arabi e elefanti e compagnia bella. Gli chiesi com’era che non li avevamo visti. Disse che se non fossi stato tanto ignorante e avessi letto un libro chiamato Don Chisciotte, l’avrei saputo senza domandarlo.”

Ricordi di egotismo di Stendhal, per cogliere l’occasione di tentare un’intima diagnosi di se stessi con sincerità assoluta.
“Ho sfruttato fino in fondo per la mia felicità le situazioni in cui il caso mi ha posto durante questi nove anni trascorsi a Parigi? Che uomo sono? Ho buon senso? Ho buon senso con profondità? Ho un’intelligenza singolare? Veramente non lo so. (…) Troverò il coraggio di raccontare i fatti umilianti senza giustificarli con lunghi preamboli? Lo spero. (…) Nemmeno io mi conosco, ed è una cosa che a volte la notte quando ci penso mi sgomenta.”

Il pianeta di Mr Sammler di Saul Bellow, perché la vecchiaia porta con sé fragilità ma anche il privilegio dell’esperienza, della saggezza e del distacco ironico.
“Mr Sammler aveva un carattere simbolico. Lui stesso, nella sua persona era un simbolo. I suoi amici e la sua famiglia avevano fatto di lui un giudice e un sacerdote. E di che cosa era simbolo? Non lo sapeva neppure. Dipendeva dal fatto che era sopravvissuto? Non aveva fatto nemmeno quello, dato che tanta parte della persona precedente era scomparsa. Non era sopravvivere quello, era durare. Lui era durato. Poteva anche durare per un altro po’”.

Il filo dell’orizzonte di Antonio Tabucchi. Per riscoprire quell’aria di famiglia che in fondo ci fa assomigliare un po’ tutti e ci unisce in un destino comune.
“Sara gli è giunta alle spalle e piegata in avanti si è messa a leggere con la testa vicino alla sua. Gli passa la mano nei capelli e in quel gesto c’è comprensione e tenerezza. Restano un attimo assorti davanti alla fotografia dello sconosciuto, poi lei si lascia sfuggire una frase che gli provoca una specie di smarrimento. ‘Con la barba e venti anni di meno potresti essere tu’, dice. Lui non risponde, come se fosse un’osservazione senza importanza.”

Racconto di un naufrago di Gabriel Garcia Marquez, per fare appello a tutte le risorse che riteniamo di avere, e anche a quelle che ignoriamo, nelle avversità. “Erano quasi le cinque. Il mattino era perfettamente chiaro. Non c’era il minimo dubbio che la terra era una realtà. Tutte le gioie frustrate dei giorni precedenti – gioia degli aerei, delle luci delle navi, dei gabbiani e del colore dell’acqua – rinacquero allora tumultuosamente, alla vista della terra. (…) Calcolai che dovevano esserci due chilometri dalla zattera alla riva. Avevo le mani distrutte e il movimento mi faceva male alla spalla. Ma non avevo resistito nove giorni – dieci con quello che stava incominciando – per rinunciare adesso che ero di fronte alla terra.”

Buone (ri) letture a tutti!
#andràtuttobene perché insieme ce la faremo.