Riccardino e l’importanza del segnalibro. Soprattutto se sono due

Il libro più letto del 2020 è stato Riccardino di Camilleri. Un libro che è stato prima temuto e poi atteso, letto in un soffio e poi riletto nella speranza non finisse mai, un libro che ha suscitato emozioni diverse e contrastanti tra i lettori, alle prese con la gioia del ritrovarsi mista al dolore della mancanza e alla consapevolezza della perdita definitiva. Un romanzo che è stato un commiato, velato di tristezza, ma anche attraversato dal gioco narrativo dell’autore, con tutta la sua forza catartica.
Anche senza conoscere la sua storia editoriale, già dal titolo Riccardino si presenta come un romanzo diverso rispetto a tutti gli altri gialli di Montalbano: un nome proprio come titolo di un testo narrativo è scelta tradizionalmente sconsigliata, e peraltro un diminutivo che, si scoprirà conoscendo il personaggio a cui appartiene, non ha niente di vezzeggiativo. Un “titolo anomalo” lo definisce Camilleri, spiegandone la provvisorietà e nel tempo il suo affezionarcisi.
Ma il titolo non è il solo elemento paratestuale che sta a segnare l’eccezionalità di questo libro rispetto agli altri di Camilleri. Riccardino infatti è uscito nel luglio scorso, ad un anno esatto dalla scomparsa dell’autore, in una doppia edizione: una “tradizionale” della collana “La memoria”, che propone l’ultima e definitiva versione del romanzo rivisto dall’autore nel 2016; ed una che contiene anche la sua prima stesura, quella del 2005.
Una edizione che corrisponde al desiderio dell’autore: “Ho sempre distrutto tutte le tracce che portavano ai romanzi compiuti. Invece mi pare che possa giovare far vedere materialmente al lettore l’evoluzione della mia scrittura”.
Si tratta di un volume dalla veste editoriale molto curata: una copertina cartonata rigida, i risguardi color giallo sole e una pagina interna di rispetto di cartoncino blu a separare le due versioni del romanzo. E soprattutto due segnalibri, uno giallo ed uno blu in accordo con i colori della copertina.
Ora, tra i diversi elementi che costituiscono i dintorni del testo, per dirla con Genette, il segnalibro ha uno statuto particolare, anche per il suo distinguersi ed “eccedere” materialmente rispetto al testo. Massimo Gatta, ricercatore e bibliotecario presso l’Università degli studi del Molise, che sul segnalibro ha scritto un saggio dal titolo Breve storia del segnalibro (ed.Graphe.it, 2020) lo descrive, con un’efficace sintesi, come «un elemento filosofico prima ancora che materiale», essendo perfettamente al centro del nostro rapporto di lettori con il testo/libro.
Due segnalibri insieme in un’unica edizione costituiscono una scelta piuttosto rara e non possono che rappresentare una precisa indicazione di lettura. Addirittura una “traccia”, se pensiamo che in Italia a dare una svolta alla forma del segnalibro, e dunque alla sua facilità d’uso al servizio della lettura, è stata proprio la casa editrice Sellerio. Erano gli anni Sessanta del Novecento, racconta sempre Gatta, e Sellerio realizzò una serie di 100 segnalibri a risvolto da staccare una volta iniziato il testo, per “La civiltà perfezionata”, che era la collana ideata da Leonardo Sciascia.
Il segnalibro come strumento di lettura “riflessiva”, che consente di ritornare al testo al punto in cui lo si è lasciato o di marcare qualcosa che di quel testo appare particolarmente interessante o da ricordare. Nel caso del Riccardino i due segnalibri rappresentano un incoraggiamento esplicito rivolto al lettore a condurre comparazioni tra brani corrispondenti nelle due versioni del romanzo.
Che differiscono solo per quanto riguarda la lingua, avverte la nota dell’editore, restando invece immutate nella trama. Dunque l’evoluzione della scrittura dell’autore negli undici anni che separano le due versioni potrà essere osservata “solo” nella dimensione linguistica. Quella meravigliosa lingua inventata da Camilleri a partire dal dialetto siciliano mescolato con l’italiano, o meglio ancora la raffigurazione artistica che lo scrittore offre del dialetto siciliano per farlo diventare la lingua di Vigata, il luogo immaginario dove non solo vive e indaga Montalbano, ma dove si svolgono tutte le vicende narrative che Camilleri racconta nei suoi romanzi, come Il birraio di Preston e La stagione della caccia, ambientati nella seconda metà dell’Ottocento, o nei racconti brevi, come Gran Circo Taddei e altre storie di Vigata, che arrivano fino alla prima metà del Novecento.
Ecco che allora quei due segnalibri stanno a marcare la possibilità, forse addirittura la necessità, di un ulteriore livello di lettura del Riccardino.
Un libro che si legge come un romanzo giallo fedele ai canoni del genere, seppure la scelta di una vittima dal profilo piuttosto squallido e spregevole come Riccardino scongiuri il coinvolgimento empatico da parte del lettore nella soluzione dell’enigma, e mantenga in piedi il simulacro dell’indagine investigativa come pretesto per dire e fare altro.
E cioè soprattutto regolare definitivamente i conti con Montalbano, il famoso personaggio che l’autore ha inventato, deciso com’è a non farlo sopravvivere a se stesso, fino al punto di intervenire direttamente nella vicenda narrata, facendosi a sua volta personaggio, e di manifestare in modo autoritario la propria volontà demiurgica di determinare e interferire nella pista investigativa del commissario. Riccardino è perciò da leggere come un metaromanzo, in cui il dialogo tuttavia non si svolge sul piano del patto narrativo tra autore e lettore, ma si articola all’interno della finzione narrativa tra autore e personaggio. Ed è significativo notare come l’autore riservi a Montalbano il grande privilegio di decidere da solo della propria sorte di personaggio inventato e creato sulla carta. Decisione che non a caso Montalbano comunica all’autore esprimendosi in perfetto italiano, a sottolineare il suo volontario andare via e porsi intenzionalmente fuori dalla narrazione autoriale.
E infine Riccardino si può meta-leggere in parallelo nelle due versioni del romanzo che nella comparazione diventano un unico testo capace di restituire l’identità tutta dell’universo narrativo creato da Camilleri, un luogo in Sicilia, Vigata, e una lingua, il vigatese, a rappresentare una vivida concezione del mondo, una visione della storia e persino un’opinione concreta. Forse la più autentica eredità artistica che Camilleri ha voluto consegnare alla nostra memoria di lettori.