Il Rapporto BES dell’Istat: bisogni, criticità e disuguaglianze dell’Italia alle prese con la pandemia

Una lettura del benessere nel nostro Paese nelle sue diverse dimensioni con una particolare attenzione alle differenze territoriali, di genere, età e titolo di studio. A dieci anni dall’avvio del progetto, l’Istat ha presentato l’ottava edizione del Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (BES), che ha dovuto misurarsi con la crisi legata al Covid-19: “lo scoppio della pandemia ha colpito il sistema economico italiano in forme e intensità allarmanti e imprevedibili”, si legge nel Rapporto. Anche sul piano dell’analisi si è reso un aggiornamento di alcuni indicatori, ad esempio sulla sicurezza, sulla vulnerabilità economica delle famiglie e sull’asimmetria del lavoro familiare, con un intervento sia sulle fonti (nuovi quesiti nelle indagini) sia sulla tempestività degli aggiornamenti, con la scelta di misure più sensibili al cambiamento nel breve periodo.
Dodici i domini individuati: Salute; Istruzione e formazione; Lavoro e conciliazione dei tempi di vita; Benessere economico; Relazioni sociali; Politica e istituzioni; Sicurezza; Benessere soggettivo; Paesaggio e patrimonio culturale; Ambiente; Innovazione, ricerca e creatività; Qualità dei servizi.
Il quadro che emerge delinea un Paese in cui persistono molte aree di criticità, anche profonde, che riguardano la sanità, l’istruzione, il lavoro, la tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale, sulle quali la pandemia è intervenuta, marcando un significativo peggioramento.
La disuguaglianza nell’accesso alle cure è andata acuendosi a causa dei continui tagli al sistema sanitario, per cui ci siamo trovati a fronteggiare la pandemia con un numero fortemente ridotto di posti letto e una classe medica dall’età mediamente elevata. Questo ha determinato una perdita dell’aspettativa di vita di circa 1 anno.
L’incidenza della povertà assoluta arriva al 9,4% del 2020 rispetto al 7,7% del 2019, i valori più elevati dal 2005 ad oggi. Dei 5,6 milioni di persone che si trovano in questa condizione, l’aumento si è verificato soprattutto al Nord e con una forte incidenza sulle famiglie con bambini e ragazzi, per un totale di 1 milione e 346 mila di minori in povertà.
La qualità del lavoro in Italia presenta da tempo problemi di stabilità, regolarità, retribuzione e coerenza con le competenze acquisite nel sistema formativo. Soprattutto le donne, i lavoratori del Mezzogiorno, i giovani e gli stranieri sono esposti ad una peggiore qualità del lavoro, in termini di instabilità, bassa remunerazione, irregolarità dei contratti e sicurezza. La pandemia ha impresso un forte peggioramento a queste dinamiche. Due tendenze emergono con chiarezza: la prima riguarda la consistente diminuzione dell’occupazione a tempo determinato, la seconda il grave sottoutilizzo del capitale umano tra gli occupati, sia sul piano qualitativo, con un grande numero di lavoratori che svolgono professioni non adeguate al proprio livello di istruzione, sia sul piano quantitativo, con molti occupati che lavorano a part time, pur volendo lavorare a tempo pieno. E anche la gestione “tecnologica” dell’emergenza ha interessato soltanto alcuni settori, penalizzando comunque soprattutto il lavoro femminile.
I bambini iscritti al nido sono ancora troppo pochi, mentre si è accresciuto il numero di ragazzi che non studiano, non lavorano e non sono inseriti in programmi di formazione professionale, e non è aumentato il numero dei giovani che si laureano. La distanza dagli altri partner europei permane anche negli investimenti in ricerca e sviluppo, che restano troppo bassi.
In questo quadro, un terzo delle famiglie italiane non dispone di computer e accesso a Internet da casa, con tutte le conseguenze che questo dato ha avuto sull’accesso all’istruzione durante la didattica a distanza (circa l’8% degli studenti non ha partecipato).
Sul fronte dell’ambiente, molti sono i segnali di allarme con il 13 % della popolazione che vive in aree a rischio idrogeologico. Come si legge nel Rapporto, “le attività umane che aggravano le condizioni di vulnerabilità del territorio sono la cementificazione, l’abusivismo edilizio, l’abbandono dei terreni d’altura, lo scavo scriteriato di cave, le tecniche di coltura non ecosostenibili, la mancanza di manutenzione dei corsi d’acqua e gli interventi invasivi e non ponderati su di essi”. In questo contesto, purtroppo avanza il consumo di suolo e l’abusivismo edilizio torna a livelli preoccupanti nel Mezzogiorno. Peggiora anche la situazione delle reti idriche, considerato che rispetto al 2015, le perdite totali percentuali di rete sono cresciute di circa mezzo punto (erano il 41,4%), a conferma della grave inefficienza dell’infrastruttura idropotabile. “Si va da incrementi minimi, come nel caso di Lazio ed Emilia Romagna – viene specificato -, a incrementi piuttosto rilevanti, come in Liguria, Umbria e Abruzzo”.
Resta preoccupante la qualità dell’aria, un fattore di rischio per la salute umana e per gli ecosistemi. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) classifica l’inquinamento atmosferico come il principale rischio ambientale per la salute, soprattutto in Europa. Il materiale particolato (PM2,5 e PM10), il biossido di azoto (NO2 ) e l’ozono troposferico (O3 ) sono gli elementi più monitorati rappresentano le componenti preferite per il monitoraggio. L’Oms ritiene che il PM2,5 sia l’inquinante atmosferico più nocivo per la salute, ed ha definito il valore soglia per la salute (10 µg/m3). In Italia, dal 2010, i superamenti del valore di riferimento dell’Oms sono sempre superiori all’80% delle rilevazioni effettuate. Si osserva, comunque, una leggera tendenza al miglioramento negli ultimi dieci anni dal 92,9% del 2010 all’81,9% del 2019.
E se nel complesso nei cittadini è aumentato il timore per la propria situazione futura, non mancano comunque alcune buone notizie.
Il Rapporto registra un aumento dell’interesse diffuso per i temi civici e politici, in particolare per il cambiamento climatico, che preoccupa il 70% della popolazione; la presenza delle donne nei luoghi decisionali rivela dei seppur minimi miglioramenti; e nel complesso prosegue il cammino virtuoso del nostro Paese nell’ambito della gestione dei rifiuti.
“Questo Rapporto mostra un quadro complesso ricco e al tempo stesso contraddittorio – ha spiegato il Presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo, durante la presentazione –. Mostra un Paese in grandi difficoltà, che tuttavia mantiene in vita riserve di speranza. L’impegno delle istituzioni e le risorse straordinarie rese disponibili dal programma #NextGenerationEU rappresentano una occasione senza precedenti per intervenire in modo sostanziale, e non puramente emergenziale, per la guarigione e la ripresa. In tal senso, il BES si propone di offrire, oggi più che mai, uno strumento mirato, sensibile e affidabile, per accompagnare e indirizzare le decisioni e per la valutazione dei risultati delle politiche che ne deriveranno”.