Lei mi parla ancora. Un incontro. Un libro. Un film. Una storia

Lei mi parla ancora
Giuseppe Cesaro e Giuseppe Sgarbi

Incredibile. La vita, intendo. Capita che tu lavori a un romanzo (Lei mi parla ancora, Giuseppe Sgarbi), che un giornalista (Maurizio Caverzan) lo legga e lo consigli a un regista (Pupi Avati), che il regista se ne innamori e decida di farne un film, per raccontare la storia di una doppia passione: l’amore, travolgente, tra i due protagonisti del romanzo (Giuseppe ‘Nino’ Sgarbi e Caterina “Rina” Cavallini)…

Finché morte non vi separi – scrive Nino in Lei mi parla ancora – è una bugia. Il minimo sindacale. Un amore come il nostro arriva molto più in là. E il tuo lo sento anche da qui.

… e l’incontro, inaspettato e sorprendente, tra un ghost cinquantaquattrenne (io) e un uomo di più di novant’anni (Nino Sgarbi). Incontro che, giorno dopo giorno, si trasforma in una profonda e intima amicizia.

E poi capita che il regista ti inviti a Cinecittà, alla proiezione del film riservata ai protagonisti…

  • Renato Pozzetto e Lino Musella (Nino), Fabrizio Gifuni (che interpreta il ghost, cioè me), Stefania Sandrelli e Isabella Ragonese (“la Rina”), Chiara Caselli (Elisabetta Sgarbi), Alessandro Haber (Bruno Cavallini, fratello della Rina), Serena Grandi (mamma di Nino), Gioele Dix (l’agente del ghost) –

… e che, prima che la proiezione cominci, ti indichi e dica “È lui il vero Gifuni!”. Il resto, ve lo lascio immaginare, perché non sono nelle condizioni di riuscire a trovare le parole per descrivere l’emozione che ne è scaturita.

Lei mi parla ancora sarà in prima assoluta su Sky Cinema e in streaming su NOWTV lunedì 8 febbraio. Non perdetelo, perché racconta – con la poesia di cui solo Pupi Avati è capace – una conversione: quella di un uomo (il ghost), incapace di dare un senso alla propria vita, al quale un vecchio gentiluomo di campagna (Nino), rivela – in punta di voce e sguardi, come vogliono le verità – l’unico vero segreto della vita: la disponibilità, la capacità e la volontà di amare.

Lei mi parla ancora

Pupi Avati

“Love is the answer”, per dirla con le parole di John Lennon. L’amore – ingrediente essenziale del piatto della vita – è praticamente sconosciuto al nostro presente. Se non riusciremo a ritrovarlo e non impareremo a “cucinarlo”, nessun piatto, per quanto possa sembrarci saporito, sarà mai in grado di nutrirci. Su questo ci invita a riflettere Pupi Avati. E basta guardarsi dentro e intorno per capire che ha ragione. Da vendere.

La vicenda di Nino Sgarbi mi ha sempre fatto pensare a quella di George Harrison. Cos’hanno in comune una rockstar che raggiunge un successo planetario a vent’anni e un gentiluomo di campagna, che ne impiega più di novanta a scoprirsi scrittore? Il silenzio. Silenzio creativo, intendo. Quello al quale vengono, loro malgrado, confinati.

Harrison riesce assai raramente a infilare un proprio brano nella strabiliante produzione musicale di John Lennon e Paul McCartney. E, così, quando i Beatles si sciolgono, apre i cassetti, tira fuori alcune tra le sue perle più luminose e dà alla luce un album triplo (All Things Must Pass), che raggiunge i vertici delle classifiche di tutto il mondo, rivelandolo, a pubblico e critica, per quello che è sempre stato: uno dei più grandi songwriter del Novecento.

Nino Sgarbi, invece, è costretto al ruolo di attore non protagonista, dalle presenze fin troppo ingombranti di una famiglia tutt’altro che ordinaria: Caterina “Rina” Cavallini, la moglie: intelligenza vivacissima, sguardo fulminante, umorismo devastante; il cognato Bruno, intellettuale raffinato e fuori dagli schemi, mentore di Vittorio; Vittorio, primogenito folgorante e incontenibile; Elisabetta: direttrice editoriale, editrice, regista, ideatrice e organizzatrice della Milanesiana, figura di primissimo piano della scena culturale italiana.

È così, a Nino non resta che rimanere in disparte. Da pescatore provetto qual è, aspetta il momento giusto per prendere all’amo il pesce del tempo e tirarlo a sé. Quel momento arriva che ha già superato i novant’anni, in una mattina di primavera, quando mi accoglie nel giardino dietro la sua casa di Ro. Da quell’incontro, grazie al concorso di due sensibilità affini, in cinque anni nascono quattro romanzi. Un’opera in più rispetto ai tre dischi di Harrison, è vero, ma – bisogna ricordarlo – il silenzio di Nino Sgarbi è stato sensibilmente più lungo di quello dell’ex-Beatle. Romanzi che sorprendono addetti ai lavori, critica e lettori – ottenendo anche riconoscimenti importanti – e che, personalmente, considero quattro tra i romanzi migliori pubblicati in questi ultimi vent’anni.

Non sono l’unico a crederlo. Basta sentire come Claudio Magris – nella prefazione a Non chiedere cosa sarà il futuro – parla di Nino Sgarbi: “uno scrittore e un uomo autorevole”, “che ci fa sentire le cose, ci riporta in mano la loro irripetibile unicità e la familiarità o estraneità col nostro essere; che ce le fa scoprire in una luce nuova”, “in una prosa classica e affascinante, piana e percorsa da echi e risonanze, come ogni classicità”. “Sarebbe bello – conclude Magris – assomigliargli almeno un po’”.

A febbraio, i quattro romanzi di Giuseppe Sgarbi (Lungo l’argine del tempo, Non chiedere cosa sarà il futuro, Lei mi parla ancora e Il canale dei cuori, tutti editi da Skira, tra 2015 e 2018) verranno raccolti in un unico volume e ripubblicati da La Nave di Teseo, insieme a due brevi racconti inediti. Sono certo che, chi li leggerà, non potrà non condividere le parole di Magris. E non provare, come lui e me, il desiderio di assomigliare almeno un po’ a un’anima così.

Che dire? Grazie Pupi. E, naturalmente, grazie Elisabetta, per avermi fatto incontrare il mio grande amico Nino.