Due giugno: festa alla Repubblica

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5 italiani su 10 sono fascisti. Non lo dico io. Lo dicono i sondaggi. 2, apertamente: i meloniani (19,4%) e 2, paraculamente: i salviniani (22,4%). Il quinto, invece, è travestito: 1/3 da liberale (berlusconiano: 7,7%), 1/3 da progressista (renziano: 1,9%), 1/3 da rivoluzionario (“dibbino”, accreditato, addirittura, di un 5%). 5 su dieci: duri ma, soprattutto, impuri.

È l’ultimo selfie del nostro Paese. Un Paese, che – da almeno trent’anni – non vede l’ora di trovare il suo nuovo padrone.

Cosa ci volete fare: la libertà pesa e costa. Servire, invece, è molto più facile. Più facile, più comodo e infinitamente più redditizio. E se, ai tempi di Guicciardini, gridavamo “O Franza o Spagna, purché se magna!”, oggi, metà di noi grida “O Meloni o Salvini ma non toccateci i quattrini!”; e l’altra metà: “O Salvini o Meloni ma basta rotture di coglioni”. La sostanza non cambia.

Per ora, restano fuori dal selfie gli indecisi. Alle Europee di due anni fa, erano quasi 5 (48%). Oggi, sono rimasti in 4 (40,2%). Dove stanno andando? Tra i fascisti, che domande. Del resto – da fine anni Ottanta, ormai – la sinistra è una (sempre più deprimente) caricatura di sé stessa. Non sorprende, dunque, che non si arresti l’emorragia di consensi del PD: 40% Europee 2014, 22,7% Europee 2019, 19,4% oggi. Meno della metà in 7 anni. Niente male. Sorprende solo un pochino di più il tonfo dei 5 Stelle, partiti col 25,5% (politiche 2013), volati al 32,7% (politiche 2018) e precipitati al 15,4%, polverizzando persino il record di dimezzamento del PD: 3 anni, invece di 7.

Se, a questo, aggiungiamo il fatto che è naturale che un indeciso preferisca gli originali (meloniani) alle imitazioni (salviniani, berlusconiani, renziani, dibbini), il quadro è completo.

Forse non tutti ci hanno fatto caso, ma alle Europee 2019 i meloniani erano “solo” il 6,5%. Oggi, invece, sfiorano il 20%. Secondo partito dopo la Lega. Non solo: la loro leader è – da due settimane, ormai – in vetta alle classifiche di vendita dei libri. Un dettaglio? Forse. Ma non è proprio nei dettagli che si nasconde il diavolo? Se, in un Paese nel quale il 40% dei lettori legge un libro all’anno, quel libro è Io sono Giorgia: le mie radici, le mie idee, il messaggio è più che chiaro. E merita di essere preso sul serio. Molto sul serio.

Che dire? Non male per una forza politica che si richiama – senza alcuna vergogna e, anzi, orgogliosamente – a una ideologia folle, che ha devastato il nostro Paese per un ventennio, trascinandolo in una delle più immani tragedie del Novecento. La seconda forza politica di questo Paese è una forza politica ideologicamente anti-costituzionale (l’Italia è una repubblica democratica antifascista per nascita, valori e visione) che – se la Carta valesse ancora qualcosina di più della carta sulla quale è stampata – non dovrebbe nemmeno arrivare in Parlamento.

Qualcuno sostiene che certe forze sia meglio averle in Parlamento, dove si possono “tenere d’occhio”, piuttosto che saperle “chissà dove a combinare chissà cosa”. Sbaglia. La dolorosa e, spesso, drammatica Storia post-bellica di questo Paese dimostra, infatti, che certe idee sono letali ovunque vivano e qualunque forma assumano: pubblica o privata, legale o illegale, visibile o invisibile. In democrazia, un virus mortale come il fascismo non dovrebbe circolare affatto. In troppi, però – e da troppi anni – hanno fatto in modo di neutralizzare tutti vaccini. La devastazione della scuola pubblica e l’occupazione del “servizio pubblico” – tanto per fare due esempi – non sono certo casuali. Inesperti? Distratti? Ingenui? Niente affatto: complici. Dichiarati e no. Gentiluomini che hanno avuto tutto l’interesse (personale e corporativo) a fare in modo che quel virus si diffondesse. Interesse che non verrà meno fino a quando la democrazia – messa, definitivamente, in condizione di non nuocere – non verrà sostituita da un clone di sé, talmente perfetto che nessuno si accorgerà né sospetterà lo scambio.

Non è affatto un caso che, nel nostro Paese, continui a crescere l’attesa messianica dell’uomo forte. Il 76% degli italiani (Rapporto Censis 2019) non ha fiducia nei partiti (valore che sale all’81% tra gli operai e vola all’89% tra i disoccupati) e addirittura il 48% dichiara di volere un “uomo forte al potere”. Un uomo forte – udite, udite! – che non si dovrà più preoccupare di Parlamento ed elezioni. La domanda è: se siamo arrivati al punto di pensare che Parlamento ed elezioni siano un ingombro, un peso, un costo, un fastidio, non stiamo già vivendo nel clone?

Il prossimo 2 giugno, dunque, non si festeggia la Repubblica. Semmai, le si fa la festa. La differenza è enorme. I gentiluomini di cui sopra e i loro fiancheggiatori non la vogliono. Sanno benissimo che – se la Repubblica fosse una vera repubblica – loro resterebbero senza arte né parte: niente poltrone, niente prebende (ufficiale e offshore) e niente quelle “corti dei miracoli” che ci hanno insegnato a chiamare “cerchi magici”.

Tranquilli, però: il fascismo non tornerà. Non passa giorno che qualche illuminato messaggero degli dèi non si premuri di ricordarcelo, con tanto di ricostruzioni (apparentemente) impeccabili, narrate con voce melliflue e sguardo rassicurante. La domanda è: come mai tutti questi Mercurio ci tengono così tanto a rassicurarci? Non sentite anche voi un nauseante olezzo di “excusatio non petita, accusatio manifesta”?

Su una cosa, però, hanno ragione: il fascismo non tornerà. Ma non per le (ridicole) ragioni che questi iper-prezzolati imbonitori da fiera ci propinano. Non tornerà per una ragione molto più semplice e infinitamente più dolorosa: perché non se n’è mai andato. Ragazzi, in ginocchio: la ricreazione è finita.